La poesia è, tra le espressioni letterarie, la più alta, quella che esplora più in profondo i nostri sentimenti e alla quale è più arduo mentire.
Ed è di gran lunga la più esigente. Se ti visita, sono guai: sia perché può costringere, anche non volendolo, a una sorta di autoanalisi, sia perché la ricerca della forma può rivelarsi estenuante e ossessiva. Per trovare la parola o la modulazione ritmica più felici, chi coltiva il vizio di scrivere versi rischia di perdere salutari ore di sonno. Proprio perché una delle sue peculiarità è la brevità, essendo regina della sintesi, la forma nella poesia assume un rilievo particolare, e d’altra parte chi costruisce un piccolo oggetto cura tutti quei particolari che ignora in un oggetto dalle grosse dimensioni. Così è nella poesia, in cui ogni dettaglio è fondamentale.
Detto questo, e considerata la fatica che la poesia comporta, non mi glorio di scrivere di tanto in tanto dei versi, tanto più che raramente sono soddisfatto dei loro esiti. Mi accontento di essere soprattutto un lettore di poesie. Ed è già qualcosa, perché di lettori la poesia ne ha abbastanza pochi.
Domeniche
Persino i piccioni hanno freddo
in questa assolata domenica in maggio.
Toccherà contarle, le domeniche,
prima del buen retiro,
e saranno assai poche
vive alla smemorata memoria.
Anche quelle in un nido lontano,
bianche come gli altri giorni
ma vestite d’azzurro discreto
e scandite dal Kirie eleison
che faceva cattedrale l’angusta sala
ed echeggiava dolci e lusinghiere
e bugiarde promesse di vita.
Finiture
Malgrado la colossale vanità
che c’illude di essere gli eletti
siamo pezzi di serie industriale
particella infinitesimale
nel vorticoso fluire del caos
– il che spiega la frequenza di vizi
di fabbrica e i difetti di produzione -.
Ma qualche volta – raramente s’intende –
si è voluto Lui divertire
a plasmare con le Sue mani
dettagli, finiture, particolari:
così col colore delle tue gote
che s’accendono al comando di sguardi
di un rosso più rosso del rosso
da ferire l’inverno dei cuori.
*
È acre il profumo dell’inverno
eppure familiare
come scorci di vita consumata
nei ritagli meridiani
tra le bambole morte e i ricami puntuali
al dettaglio.
Lavorava all’uncinetto
brave come poche
la zia formichina
febbrile nell’ombra
che attraversava e avvolgeva
l’essenza dell’assenza
sazia d’infelicità
non provò mai a essere felice
felice come una donna.
Nell’armadio dei superstiti affetti
cianfrusaglie e merletti
e il contagio di quello che resta
della festa di un pianto rappreso
alla gola
e della cattiva digestione.
Quando sprofonderò dalle pozzanghere
che calpesto ogni giorno
agli sguardi ostili ed estranei
in sotterranei sconfinati e privi
di luce soffusa
lo dirò coerente anche a Lui
proprio come lo scrivano:
Preferirei di no.
È acre il profumo dell’inverno
eppure familiare.
Antonino Cangemi, Dirigente alla Regione Siciliana, collabora con le pagine culturali del Giornale di Sicilia. Ha pubblicato, oltre a manuali divulgativi per la Regione, Comunicazione pubblica e burocrazia con Antonio La Spina (Franco Angeli, 2009), i saggi umoristici Siculospremuta (D.Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013), i saggi biografici D’amore in Sicilia (D.Flaccovio, 2015) e Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra,2019), le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009) e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2014).