Marco Pelliccioli, L’inganno della superficie
 La collana, Stampa, 2019

 

Marco Pelliccioli attraversa la realtà astenendosi da intromissioni soggettive. Sono le stesse immagini, casomai, a veicolare emozioni, in un ampio affresco di luoghi e interni (case, fabbriche, ospedali, bar di periferia) ed esterni (campi, strade, muri di recinzione, cancellate, balconi) nei quali si snoda la Storia degli ultimi decenni come recipiente di storie individuali.

La trasformazione della società è raccontata dalle cose, dai dettagli e, cosa più importante per un poeta che lavora con le parole, dalla trasformazione del linguaggio via via sempre più contaminato da anglicismi voracemente sostitutivi dei termini dialettali (percepiti come veicoli di un sentire più essenziale e aderente alle sfumature così variegate dell’esistere), e sempre più anonimo e tonalmente sbiadito.

Spesso i testi, scenograficamente strutturati, rimandano a certe atmosfere filmiche, e in particolare, per il messaggio più profondo che li sostanzia, ad un’opera di grande spessore poetico, qual è Stalker di Tarkovskij.

Anche in L’inganno della superficie, infatti, domina il tema della contrapposizione fra la rigidità della forza (sia esso il potere politico, economico, culturale) e la flessibilità della debolezza, espressa dalle classi umili, dagli artisti, dai cercatori di verità, capaci di approssimarsi alla sostanza segreta della vita più dei cosiddetti dominatori, che non si accorgono di perdere di vista la dimensione dell’umano, la profondità della tenerezza, la sacralità della memoria e dell’amore.

Non è affatto casuale, allora, che colei che si assume il compito di portatrice di buone notize, di valori “evangelici”, abbia nome Angiolina, e che la sua presenza percorra tutta la trama del libro, con i suoi gesti d’amore con i quali nutre e consola: una sorta di donna angelicata dantesca, ma immersa nella vita quotidiana, senza l’astratta distanza della visione, senza balbettamenti della lingua, che trova, mentre la racconta, la dimensione dell’esistenza, complessa e difficile (al punto che tutto il linguaggio a disposizione dello scrittore non basta e non è, dunque, divisibile, la poesia dalla prosa, il dialetto dalla lingua d’uso corrente) e però, agli occhi che sanno vedere oltre la sua superficie, illuminata da bagliori di bellezza e bontà.

È questa la stanza segreta a cui ci guida Pelliccioli e che attende gli umili di spirito, come nello Stalker di Tarkovski, proprio nel cuore del disastro.

 

Franca Alaimo