GIULIO MAFFII DELLA POESIA DICE
…“dire della poesia” è un esercizio d’astrazione, tautologico e fuorviante. “Dire della poesia “ è una meta inavvicinabile che il poeta, sfiora come Tantalo: lui è soltanto l’appendice della sua produzione e farebbe bene ad esserne conscio. Ne parla in termini metapoetici rivolgendosi a un pubblico immaginario o spesso al riflesso egotico di se stesso. La realtà è ben più semplice e lineare. Parafrasando T.S.Eliot, credo che esistano versi belli, versi brutti e poi l’insignificanza. Una solida progettazione, una architettura narrativa, oltre che studio e aggiornamento costante, sono elementi essenziali. C’è la necessità di colmare quei vuoti che la mancanza di una pedagogia della poesia comporta; quindi non soltanto estro e improvvisazione che, altrimenti, rischiano di restare implosi sulla carta, se non sono accompagnati da atti di formazione attiva e continua.
LA SUA POESIA CI DICE
Controvocazioni
È soltanto pietà quella che provo [- né prima né dopo-]
tu memoria como remordimiento [il rimorso è pozza di acqua limpida]
di cui non vedi il fondo
A ticchettio a poche spanne [flebo non fenicia ruota che volteggia urina]
Giallo il sole
fitta e filtra trafigge la luce [penetra nei letti di questi abbaraccati]
Dunque l’infermiere è l’ora [medico dottore professore]
emorragia cerebrale
– hai sentito come pulsa il cervelletto-
ricordo questo nome fu un giorno [1972]
lo disse Berta la maestra
Lo scranno a tavola e tutti intorno [segue fame appetito codici ubbidienza]
nessun lato a cui aggrapparsi [la finzione domestica]
Combatti il silenzio delle pietre [magnificat anima mea scolpito
o forse dipinto nella cappella scolastica]
Dal golgota scende a grandi passi ne scende uno solo
È quello sbagliato entra nella stanza saluta -letto 10?-
non trascina croci o chiodi ma referti [codici biblici e un compulsivo scuotimento]
[-pur farò presto visita al figlio inghiottito dal gorgo di terra-]
ed io dimenticato dovrei ricordare escogitare sentenze
[pregare sperare in un riconoscimento quasi postumo]
È un tempo breve che si riduce nell’attimo -lo stiamo stabilizzando –
tempo di ciliegie che rende visibile il passato [carne su carne su carne su carne]
come se i quasi estinti fossero stati sempre senza vita
Soltanto da te alla fine aspetti qualcosa
Innalzo glorio odio il vessillo del lutto [ne parlo perché ci parla dentro]sente le voci vede qualcuno – [la voce pallida di un dio che soffoca nel dolore]
e questo è il niente e questa è la gente che si salva nel respiro
-Se passa il fine settimana lo dimettiamo-
Si scrive per difendere ognuno di noi [per decidere se scavare una trincea d’attesa]
osservare il verbo che tace [impiegare il coraggio bianco della pena contro il niente]
nel dolore salvifico del presente
È dentro me che non riesco a stare -l’ospedale è un edificio vecchio nel centrostorico-
nel silenzio scuro delle volte degli androni piovosi
dei passanti bloccati pentagrammati a fitte semiminime
Precarie grandezze sei nel braccio secolare [di te resta la tua copia di luce]
si spalanca il respiro dei muri [l’apparato cardiovascolare]
L’anamnesi è totale adesso [una volta soltanto mi affaccio non intralcio]
i tubi gli esami il ritmo della flebo [il giorno oggi si adagia sulle gemme]
-non ti riconosce non sente-
Il riconoscimento travalica dai nomi le cinghie di contenimento sono lettere strette tra
parentesi
Il corpo violaceo il respiro consumato [sembra pagina di un libro antico preda di
roditori]
I parenti a lato uniti come iato come scolio come fiato ad uso di altri tanato-lettori
La pioggia ticchetta a metronomo [-molti uomini morirono a causa di quelle acque
perché erano diventate amare-]
L’ultimo endecasillabo adesso [dentro cui finalmente taci]
[il] sette ottobre duemiladodici
inedito
La prima notte facemmo l’amore
tre volte ma si tratta di un errore
un semplice sbaglio nel conteggio
del resto parliamo di un filo
con poca matematica tra pelle
e pelle che si strofina
quindi l’amore è statica
oppure calamita
ma non si può contare
od indossare cambiando taglia
E’ una foglia per coprire
le nudità o l’odore di vecchio
Del resto non hai ricordo
di quella prima notte confusa
nella trigonometria sentimentale
numeri primi
come il tre
accendono lo sguardo algebrico
di me di te e di sé
da Angina d’amour
Nessun amore è un amore
se non ha almeno un’intercapedine
Ci persegue una domanda
-ma come fare
come fare a riconoscere l’amore?-
Poi alla fine succede un fulmine
dietro resta il coro dei paurosi
Ci siamo amati una volta sola
in questa vita e forse in un’altra
sopra l’abito della domenica
ci siamo indossati divorati
baciati e sparati in bocca
un alfabeto intero
Non toccare più niente
neanche lo scalmo che ci sorregge
DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA
Giovanni Ibello, su Angina d’amour.
Nel lavoro di Maffii, il tema dell’origine diventa quasi spettrale. Amore e discordia sembrano due pugili che danzano macabramente sul ring, e a leggere i versi dell’autore, si ha la netta sensazione che l’intero universo dell’umano sia sul punto di collassare, e più in generale, di implodere. La sua visione delle cose è però lucida, distaccata.
Nicola Vacca, note di lettura su Angina d’amour.
Giulio Maffii scrive poesie dal disincanto di un universale vuoto d’amore. Il poeta sta con gli occhi aperti della disillusione nel progetto di un freddo perenne, caro a Cosimo Ortesta…. La sua poesia nasce proprio dalle negazioni e dal massacro del contemporaneo di cui noi siamo sillabe mancanti…
Bernardo Pacini, note di lettura su Angina d’amour
Sta a noi decidere se accettare o meno la provocazione di Maffii, che ci accompagna alla porta e ci ricorda che “le case alla fine si assomigliano tutte”; in altre parole, invitandoci a tornare nella nostra, di casa: ognuno alle sue travi e ai suoi tarli.
Enea Roversi, note di lettura su Angina d’amour
Lo sguardo sul quotidiano rivela il lato ironico di Maffii: Ci si offre come stuzzicadenti reciproci /ma il legno è fatto in Cina / una riproduzione seriale, anche se ci sono versi che sembrano andare in direzione contraria (Non c’è posto per l’ironia / tra i versi non è serietà). Sta in questa capacità di miscelare ironia e dramma, a mio avviso, la forza stilistica ed espressiva di Maffii.
GIULIO MAFFII E I POETI “INFLUENCERS “
Confesso che associare il termine “influencers” alla poesia mi è alquanto difficile. La poesia non è merce commestibile o vendibile con le mode del momento e, soprattutto, non è un social. Si assiste ultimamente al fenomeno dei “Photocopy poets”, in cui spersonalizzazione, uccisione dell’Io narrativo, autoimpedimento dello scavo interiore, provocano una ripetizione dei temi, rendendo tutti uguali, l’uno epigone dell’altro, senza che la poesia arrivi al lettore. Tornando alla domanda, diciamo che sono un lettore onnivoro e credo che ogni libro, bello o brutto, lasci una traccia dentro, anche inconsapevole. Il Novecento è il periodo che, forse, torno di più a leggere, da Eliot a Costa, da Montale a Spatola, da Carifi a Ceni. Ultimamente ho letto cose veramente interessanti di due contemporanei: Ibello e Pacini, senza dimenticare le piccole perle che Galloni ci ha lasciato.
In dono a Giulio e ai lettori di larosainpiu questa poesia di Gabriele Galloni, tratta da L’estate del mondo, Marco Saya Edizioni, 2019
In tutti i sogni un’ombra sconosciuta
dietro le cose amate – e com’è strano
amare in sogno. E in sogno ricordare
ogni parola detta al buio, piano,
per non svegliarti e non svegliarmi; e fuori,
nel sogno e nella vita, già qualcuno
che aspetta l’alba bruciando dei fiori
di plastica.
Giulio Maffii ha diretto la collana di poesia contemporanea per le Edizioni Il Foglio.
È stato capo redattore della testata giornalistica “Carteggi Letterari” e adesso collabora con la rivista Atelier. Suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno. Nel 2013 è uscito per Marco Saya Edizioni il saggio breve “Le mucche non leggono Montale”. Nel 2014, dopo aver vinto il Premio Internazionale Castelfiorentino con “Arische rasse – Novella di guerra”, ha pubblicato sempre per Marco Saya Edizioni “Misinabì” poemetto basato sui miti della morte degli Indios Taino. Sempre nel 2014 il saggio “L’Io cantore e narrante dagli aedi ai poeti domenicali: orazion picciola sulla parabola dell’epos” per Bonanno Editore. Nel 2015 “Il ballo delle riluttanti” per Lamantica Edizioni e nel 2016 “Giusto un tarlo sulla trave” per Marco Saya Edizioni. Nel 2018 “Angina d’amour” (Arcipelago Itaca ed.). Recentemente ha pubblicato per la storica rivista scientifica “Archivio per l’antropologia e l’etnologia” il saggio : “Con i piedi in avanti: la lunga passeggiata di anthropos e thanatos tra poesia e vizi simili”.
Fa parte dell’associazione Pallaio per gli studi antropologici e multidisciplinari di Firenze. È docente di storia contemporanea presso il corso di laurea in Scienze giuridiche della sicurezza.