Può succedere che specchiandosi nel silenzio ci si perda di vista. Ecco, la poesia aiuta a compiere quest’esodo necessario. Si lasciano decantare le memorie, il nostro vissuto e la trama delle relazioni e vicende che ci vedono coinvolti o spettatori: a muoversi è solo lo sguardo, perché anche se, come diceva Rilke, “tutte le cose tendono a librarsi”, nulla di noi più dello sguardo può spingersi lontano,
può sfidare l’altezza. Poi, certo, la poesia ha le sue strade. Il verso, quel tornare a capo, il suo dire traslato, le pause e le rincorse non fanno che smuovere le zolle e scuotere le spalle: ci si volta per guardare in faccia ciò che si porta con sé, per lasciarlo andare. Si fa esercizio di attesa e di attenzione; la postura è quella di chi veglia e sperimenta al contempo libertà e costrizione. Sì, perché le parole sono la pietra preziosa da scovare e da limare, ma anche il velo che cela e tiene una sorta di
metamorfosi, quest’innesto in una dimensione che è sempre liminare.
Accostarsi alla poesia significa intraprendere un’avventura conoscitiva, ma dentro un’altra pelle.
Anzi, solo la parola si disincarna e cerca ancora un nuovo approdo la sua fecondità.
Dove mi aspetti
se non hai case da abitare,
un petto dove poggiare il capo.
Anche l’ombra di un albero
sa rapire il sonno
e suggerire fremiti alla terra,
darle il suo mantello.
È lì che canta d’albe
sconosciute il codirosso
quando attende
all’esercizio di una sosta,
al miraggio dolce di una dimora.
*
Sarà anche vero che ogni madre
pulsa instabilmente, cefeide
inquieta che gonfia e sgonfia il petto
per qualche sorso in più di luce
(il valzer dei pattini dentro al cuore
a raccontare il primo degli abbracci,
l’inquietudine dell’attesa, il morso
fulmineo dell’abbandono).
Ma svela, una madre, a che distanza
esiste una galassia, con la forza
di gravità ad avvincere i corpi
infine. Forse perché vende il sonno
pure al tempo mite della sera
o forse solo perché sa di latte.
*
Facciamo che sia il gioco
della corda: un lieve stacco
a intercettare l’urto
svelto tra i talloni.
Conta il ritmo, la misura,
ma più ancora valgono le mani,
con lo slancio a disegnare il cerchio
ampio che non trema, esatto
nell’abbraccio che smuove l’aria
e saldo l’attraversa in volo.
Danila Di Croce (1974) vive ad Atessa (CH) ed è docente di Materie letterarie e Latino nel Liceo Scientifico della sua città.
Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Punto coronato (ed. Carabba), nel 2011 e ha partecipato ad alcuni concorsi con testi inediti, specie nell’ultimo periodo, conseguendo diversi riconoscimenti.
Si segnalano, in particolare, i più recenti: primo premio alla XXI ed. di InediTO – Premio Colline di Torino; primo premio al concorso Daniela Cairoli XX ed. 2023; secondo posto alla XXIX ed. del Premio Ossi di Seppia, sez. A; tra i vincitori dell’VIII ed. del Premio nazionale editoriale di poesia Arcipelago itaca per la sez. Sezione A = Selezione/silloge breve; tra i finalisti del premio Poeti Oggi 2023; tra i selezionati per la poesia inedita alla IX ed. del Premio Città di Como 2022; tra i finalisti per la sezione Poesia inedita del Concorso Guido Gozzano XXIII ed. 2022; tra i segnalati al Premio Europa in versi e in prosa 2022; tra i finalisti del Premio Zeno sezione Poesia inedita X ed. (prima selezione).
È membro di Giuria di alcuni premi letterari e suoi testi inediti figurano in diverse antologie.