Campionature di fragilità, La Vita Felice, 2015
di Melania Panico
nota di Rita Pacilio: Confidenze
Non è facile scrivere una nota al bel libro di poesie, opera prima, di Melania Panico Campionature di fragilità, La Vita Felice, 2015, no, per me non è facile. Appena comincio mi capita di tornare indietro, al primo verso, come se avessi perso qualcosa, qualche parola, una storia sconfinata, come se avessi smarrito un’anima in un tempo dimenticato o in uno spazio di cui non sento più l’eco. Eppure questa raccolta l’ho vista nascere, crescere, maturare, forse per me è difficile per il forte legame emotivo che mi unisce a Melania e a questi componimenti? Versi questi che ho seguito per quasi due anni, una sperimentazione lenta a rispolverare il repertorio dei Maestri diventando, piano, piano, io e Melania, amiche, nonostante la differenza di età, durante le lunghissime chiacchierate sul litorale flegreo. Abbiamo raggiunto sponde dottrinali e rive montaliane, salito scale leopardiane, annunciato le scelte di identità di Gatto e rinfrescato la memoria su tutte quelle conoscenze retoriche appartenenti alla lingua latina e greca: Napoli è stata galeotta e Giuseppe Vetromile, amico poeta, ha chiuso il nostro magico cerchio. Ciò che mi sorprese, di questa giovane autrice, fu l’ispirazione lirica e la voglia di studiare il mio percorso poetico, fu così che la conobbi, era tra il pubblico a una mia performance poetico-musicale. Melania seguiva i miei spostamenti in Campania, le mie presentazioni, divorò in poco tempo i miei libri, li metabolizzò, furono oggetto di studio per lunghi mesi. La sua coscienza creatrice aveva sete di conoscenza, si avvicinava alla poesia con voracità e grazia e misurava la sua scrittura come ogni allieva dovrebbe fare quando è in fase di formazione, di apprendimento. Entrare nella poesia in questo modo commuove, convince, si aggiungono premesse, quelle giuste. Così è stato: le due sezioni del libro, Cose accantonate e Rinascite, hanno dato ragione a tutto il percorso avviato con cura, meticolosità, dedizione, da anni, ma sicuramente, negli ultimi tempi, più assiduamente, con maggiore serietà e ferocia. Melania Panico, nonostante sia una giovane donna, porta con sé una maturità stilistica pregevole che indubbiamente non viene solo dallo studio. Una sera mi scrisse un messaggio dopo che le avevo inviato il mio in cui l’avevo appellata ‘sorellì’. E lei: ‘eh, anche Pier chiamava Merilin così!’ Io aggiunsi:’ a volte ti vedo piccola, definita dagli anni che porti addosso’ – ‘ e allora sappi che io ne ho 150!’ mi rispose. Ecco di chi stiamo parlando, un’autrice del nostro tempo, calata nella terra calda e cocente della Campania, le cui colpe e i cui limiti storico/economico/sociali li riconosce, li sa disperatamente attraversare, poeticamente invocare, li sa tutti: vuoto, mancanza, silenzio, rinuncia. È precisa, accorta, analizza, sminuzza il tempo della luce aurorale e quello dell’energia vespertina: le cose appaiono in un altro modo quando il tempo cosmico è scandito e frammentato da quello intuitivo, anche la voce intersoggettiva ne registra ulteriori significati. Non tutti sono in grado di uscire dalla menzogna quando una poesia, in tal modo graffiante, mostra lo spazio circoscritto smangiato dai singulti del modernismo. Confeziona con tagli sapienti temi delicati esorcizzandoli: incomunicabilità, angoscia, solitudine. Il fine ultimo è sempre quello di venirne fuori riparandosi in modo arduo, consapevolmente. È austera la Panico, non si lascia tradire dalla paura, non si arrende: Dovevamo accordarci sui piani/scalando il tempo verso a verso.
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Dorso antico sulle case
il tempo camuffa la brina granulosa
cristallo impreziosito di aghi.
Costa di più scrivere
imprimere un non so che di ansante
toccare l’acqua senza spirito di salvezza.
Ansimare meno del solito
una finestra svuotata
sul ciglio di una strada
ci si riconosce.
Ti ho vista avvicinarti
alla gola stretta del fiume stamattina
ascoltavi gesti titubanti
masticavi l’aria intorno allo scialle.
Vedevo risalire gli spiragli frammentati:
restare a galla è la nuova prospettiva.
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La casa di giorno ha sentore di verde
le foglie svegliano i piedi
la terra insegna i passi
per tributo alla vita.
Di notte la casa ha un vissuto che spaventa
la strada ancora sconosciuta
una cantilena ridà peso
al corso d’acqua verticale
si insinua nel tremolio delle rotaie.
Tra un minuto sarà tempo di restare.
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Ha raccolto gramigne dal solco
del suo io mutilato, a lungo,
ora l’orizzonte è un sentiero lineare
ai lati un orlo di rocce cucito a mano,
un intreccio di legami forestieri.
C’è un dirupo sulla strada verso casa,
ci si tiene stretti alla cartapesta
dipinta a mo’ di cielo
si patisce una sola volta ancora:
davanti agli angoli di uno specchio
appoggiato senza sforzo alla parete in fondo.
Dovrebbe essere tutto dritto, grato
le pietanze sul tavolo del tinello
le conversazioni a luce soffusa,
si bada a tutto, e niente resta.
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Non qui
né altrove
ho voluto seminare ciglia
per avere in cambio
una nuova visione delle cose
fibre consensi ossessioni
carte bianche trascritte
io non so spiegare la poesia
un gatto silenzioso
entra nella stanza
la luce non disdegna
i passi
lo sento che gratta piano
contro la porta
i suoni sanno tenere testa al tempo.
Melania Panico è nata a Napoli nel 1985 e vive a S. Anastasia. È laureata in Filologia Moderna. Ha lavorato in una casa editrice napoletana come responsabile delle proposte editoriali e ha curato l’uscita di alcuni testi. Insegna italiano e latino. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in antologie. Ha partecipato e partecipa a diversi concorsi letterari nazionali. Frequenta gli ambienti letterari del territorio campano prendendo parte attivamente ad incontri di poesia, convegni e rassegne. È frequentemente invitata come moderatrice e relatrice in occasione di presentazioni di libri di poesia e di altro genere letterario. Ha ricevuto riconoscimenti dalla critica di settore. Vincitrice del Premio di Poesia «Ambrosia» 2014.