il rigo tra i rami del sambuco di Emilia Barbato, nota di lettura
tutti i titoli dell’assenza ne il rigo tra i rami del sambuco, di Emilia Barbato, conseguono in quell’uno qui molteplice di donna tra le donne e tra le donne, come replicate a due a due le foglie, una madre. D’intensa levità la parola, il suo schiudersi candido fiore nel Verbo nonostante la paura distillata nella cura che domanda per scorgere un rifugio dal dolore che sia pur in un fragile e magrissimo suono la screpolatura che farfuglia nell’attesa di un gesto in sospensione sul corpo amato, ammalato, ventre-terra che s’incendia.
Una stanza privata e universale è la fitta che sgorga dal rigo al viso, nelle braccia del sambuco.
È la stanza della madre.
È la stanza di ogni donna ramificata sulla terra e che è terra cadenzata in un canto d’afflizione.
È la stanza che una figlia osserva osservando nel silenzio l’incompiuto profilo della mancanza e, sebbene sia fremito il colpo raccolto sul profondo, si fa dono di preghiera trattenendo un’impressione / di colore: in un bianco pigmento che rischiara il delicato suo farsi salvifica voce al cielo protesa mentre il ciliegio si prepara / alla sua piena fioritura e così accade di bellezza l’abbandono allo sguardo sempre più sguardo, sempre più denso nel minuto di un bagliore che possa ricompattare quella primigenia speranza d’amore.
Perché è l’amore che trattiene, liberando lo spasimo, l’insicuro passo tra i passi nell’asettico sentiero di un ospedale, quasi voliera che si ripete dentro al petto, quasi istante sollevato al centro del giorno di ogni giorno, di ogni impercettibile andare oltre il perituro segno di un incerto paesaggio dal di dentro rialzato per non lasciarsi cadere sfibrata radice di una polposa ferita nell’intima regione del corpo-mente, terra-aria che pudica si intona e che docile poi si accoglie al verso dell’imbrunire per l’oscura / la rigogliosa e la vergine, intesa in una tazza che si sbreccia.
Si è sempre impreparati nel percorrere la selva dell’imperfetto che avviene sulla trama del corpo e ad una impronta indietro si tende il fianco che traversa nell’incompreso mutamento del soffio.
La Barbato, no. Non ne volta il senso ma lo cinge, lo misura in un limpido avvicinarsi alla fermezza della mano non arresa e così resa affusolata visione di grazia.
Un miracolo compiuto, è la rivelazione del poeta, che risana la parola storta, “una dichiarazione di poetica semplice ma irreversibile”, scrive Ivan Fedeli nella postfazione a questo piccolo bocciolo di pagine edito Pietre Vive, accompagnato nel tratto dall’essenzialità miniata di Nadiya Yamnich, nello spazio fermato all’adiacenza a quel peculiare modo di porgersi educata contemplazione che illumina e preserva dal peso quotidiano il principio sensibile di una autentica effettività.
daìta martinez
https://www.pietreviveeditore.it/prodotto/il-rigo-tra-i-rami-del-sambuco/
Daìta cara e in questa tua nota di lettura, che nota non è ma è poesia, tutto appare gestibile, ogni passo sopportabile, ogni peso possibile se come ricompensa ha la luce pura e la levità che cogli. Ti ringrazio per questo dono bellissimo e ringrazio la rosa in più per questo spazio nel suo giardino.
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L’ha ribloggato su Incauti Accomodamentie ha commentato:
Ringrazio Daìta per questa sua nota di lettura, che nota non è ma è poesia, così tutto appare gestibile, ogni passo sopportabile, ogni peso possibile se come ricompensa ha la luce pura e la levità che Daìta coglie. La ringrazio per questo dono bellissimo e ringrazio la rosa in più per questo spazio nel suo giardino.
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