“Dodici ore” di Mariachiara Rafaiani
[ … ] Io dagli altri
ho imparato ad essere me stessa” [ … ]
“Dodici ore” precisa la metà di un giorno. L’esatta mediana che si forma parola da abitare, abitata nel tutto gesto dell’andare a sé e oltre al sé per crearsi luogo d’appoggio dopo e dentro la presenza assenza da una e più città, da uno e altro amore e ancora nel farsi dentro qualcosa d’infinito.
L’infinito che implica e ripara. L’infinito di Mariachiara Rafaiani, infinito che non possiede e d’esistente s’alza in verso discinto in questa sua opera prima edita La Gru (2018).
Con occhio minuscolo e non schermato l’autrice procede di suo accento osservando il suono custode del non esserci come necessità al compimento di una scena, poi dell’altra a forma di scenografica impressione che s’inoltra nel tempo appeso ad un privato calendario indispensabile alla comprensione della vita se l’esistenza – distende la Rafaiani – è passarci di mano la foglia / far rotolare i ciottoli per il pendio. Mano, foglia, ciottoli. Dalla mano alle piccole cose che incedendo s’incontrano e che resterebbero nella distanza se non le si sapessero scrutare mentre attraversano di loro senso il polso del pensiero e battono come batte l’ora della luce di un lui che gli sorride sulle labbra e di una lei che non è mai quella che ti aspetti. Quella lei che s’attraversa per le strade dei suoi anni sempre verso qualcosa che la rende ricordo e attuale che è noi e di questo suo costruirsi noi è ricerca del fiore dello zafferano poi forse da dimenticare come si dimenticano senza mai lasciarli veramente andare i graffiti del tramonto sulla rilucente scorsa dei vetri capaci a corrispondersi nell’indenne dello sguardo.
E dal tramonto all’aurora, a contarle, dodici le ore che sostano, come treni alla stazione, d’ogni giorno, mese, anno, senza nulla possedere e nel nulla tutto essere silenzio e tumulto, impronte di strada e paesaggio di dolore senza neppure smarrirsi dal concreto, dall’avvertibile dei passi intenti nel portamento a viso aperto all’altro lato del mondo / o che sia la porta accanto sull’orizzonte del mare. Perché è essenziale il mare che annaffia e schiarisce l’ombra quando solitaria al suo principio è legno, paglia, cemento laddove pur altro è il seme consegnato alla radice della casa con le pareti che si fanno limite al sussurro del vento che si dona ma sosta la faccia sfatta davanti / al baracchino del vino e le lacrime / e le lacrime sotto gli architravi / delle osterie, era la solita / mascherata dell’amore eterno.
daìta martinez
In un bar perduto nel parco di Siviglia
confusa cado in altre prospettive
Lascio il cuore in quegli occhi ampi
Tornerò e sarò più bella
Lui aspetta la prossima opportunità
la luce gli sorride sulle labbra
*
La pioggia mi ha fatto incontrare
il tuo sguardo, era illeso
come ogni mattino
era capovolto
Lavagine è chiusa nei cerchi del disastro
di uragani
Vedo come questo nostro
procedere nel tempo
è ricerca del fiore dello zafferano
nascosto fra i ranuncoli
dietro vetri di plexiglas
Di tutte le cancellate della nostra vita
se n’è aperta solo una
*
Sono qui a soppesare il valore
dell’uomo, a cercare il modo
di essere felice, lo splendore
dell’esistenza altrui, la scrittura
Non più qui ma oltre,
oltre questo viaggio, oltre
la sorte, oltre lo sconforto
Minuscola mi muovo
su qualcosa di minuscolo
dentro qualcosa d’infinito
e ho dentro qualcosa d’infinito
ma mi riduco alla giacca
che indosso, all’espressione
che ho in volto, al profumo
che metto, al treno
su cui salgo
Mi riduco alle persone che amo
*
Il campanile di Rivabella
ha un cielo striato alle spalle
Le luci dello stadio
sono venute da un altro pianeta
per questo momento serale
poi è venuta la pioggia
poi il mondo più chiaro
Penso a questa questione delle scelte e so
di non volere e di non essere in grado
di scegliere niente
Immagino l’odore della salsedine
Se solo potessi, mi dico, se solo
potessi aprire il finestrino
fermarmi e togliermi le scarpe
sulla spiaggia senza dover mai
arrivare a Milano
e ascoltare il rumore del mare
avere paura come una sedicenne
in fuga da casa, come una sedicenne
alla ricerca di Dio e non dover
arrivare a Milano
con quel violento coraggio che non c’appartiene
*
Va piano e vado piano