Non sappiamo; ignari camminiamo.
Qualche lampo in lontananza
davanti a noi, i nostri occhi impressionati
come dal flash di uno scatto: continuiamo
a volte come se la mente avesse capito,
a volte come se fosse stato un abbaglio
della notte
o un sogno.
*
La sonatina
Il ticchettio della tastiera,
Olivetti Lettera 22.
Un ricordo della scuola
il tic-tac binario sulla carta.
(il mio demone ingenuo
scriveva di notte poesie
e un romanzo che
appena concluso andò nei rifiuti;
la copia carbone servì per il saggio
sul teatro di De Filippo
per l’esame di stato).
Qualcuno m’incitò con un «scrivi»,
quell’unico carattere che dopo anni
seppi chiamarsi courier
(il mio demone ingenuo…).
Un meccanismo manuale:
colpi di martelletti
seguiti da geroglifici a penna,
ripensamenti, abrasioni, correzioni.
Una sonatina, disse un poeta,
più forte delle armi da guerra.
Scrivere è ricordare di aver vissuto.
Credo lo scrisse anche Fortini
da qualche parte. Forse proprio
con una Olivetti Lettera 22.
*
Un filo mi separa dalla salvezza
del giorno: l’ombra di un edificio, il sole,
rumori e voci si avvicinano e poi sfumano,
motori di barche rimbombanti nel porto,
latrare di cani randagi, il moto di una bicicletta,
il caffè, un profumo –
tutto questo può essere la soluzione,
tendere l’imboscata all’epifania,
sciogliere così il piombo dell’aridità.
*
«Non accusare di povertà il giorno…»
Un improvviso frullio di ali.
Dal riquadro della finestra una colomba
scompare, riappare, si allontana, s’invola.
Un resto d’infinito, cirri e nuvole.
Rilke ricorda che non bisogna accusare
di povertà il giorno:
il poeta è l’unico responsabile.
Bisogna allora vedere, nel non vedere.
La mano rischia sulla tela
una fuga, una curva.
*
Ricomporre
Ricomporre – hai scritto –
è della poesia (se sa
rimettere i cocci insieme).
Vede oltre le ombre dei nostri occhi
come la chiarità di un pomeriggio
in un cortile, rampicanti da muro e vie deserte,
l’aria gonfia della sera che verrà.
Ci tormentiamo ignorando il motivo
perché è dell’uomo fare senza capire –
poi un qualcosa ci ferma, la brama si placa,
ricongiunge pezzo per pezzo ogni cosa
e il velo davanti agli occhi cade:
ricomporre, hai scritto, è della poesia.
Davide Zizza nasce a Crotone nel 1976. È dottore in lingue e letterature straniere con una tesi in filologia romanza. È redattore per il Litblog Poetarum Silva dove tiene la rubrica Bustine di zucchero. Nel 2000 diffonde la sua plaquette stampata privatamente, Mediterraneo. Nel 2012 per l’editore Rupe Mutevole pubblica la raccolta Dipinti & Introspettive e nel 2016 la raccolta di poesie Ruah (Edizioni Ensemble). Il suo breve saggio La lettura e la scrittura come etiche dell’ascolto è inserito nel volume collettaneo Ascolto per scrivere (Fara Editore, 2014). Alcuni suoi contributi critici su Salvatore Quasimodo, Jules Laforgue e Robert Lowell sono apparsi in Grecia sulla rivista di poesia e letteratura Koukoutsi. Suoi articoli e poesie sono presenti in rete su vari blog e riviste. La sua ultima raccolta pubblicata è Piccolo taccuino occasionale (Edizioni Ensemble, 2020).