Nota di lettura a “La crepa madre” di Carlo Tosetti

 

“Le vicende narrate sono intreccio di fantasia e convinzioni attecchite nel substrato dei miei ricordi”.
Fantasia, convinzioni, ricordi. Tre fondanti sostanziali alla narrazione di una storia che si conserva nell’ascolto quasi fosse antica atmosfera di un’oralità fermentata dall’avvertito del poeta in apertura di trama, come leggenda a viso aperto da assaporare tutt’intorno al focolare brulicante di memoria. Memoria de La crepa madre, Pietre Vive edizioni, ultimo lavoro poetico di Carlo Tosetti.
Memoria che si afferma e si sofferma nel pieno senso di una verità, la verità di una ferita, la prima e assoluta ferita di una madre che è origine a sé e se origine è lo è per albore di nascita di una oggettiva realtà che si eterna principio di vita tramandato al seno di un ciclo custode.
Ferita di madre, ferita di casa, quindi quella ferita che porta alla determinazione del primo soffio vitale, di quella prima casa abitata (quale nucleo ancestrale, per intendere un azzardo) che continuamente si / ci riavvolge al suo ritorno. Così Tosetti ritorna con l’incidenza del suo passo bambino nel ricordo del tempo della casa, la casa estiva della nonna paterna e dei suoi umori, la casa di Erba, una casa nella quale percepisce il respiro di quell’altra di casa, la protagonista, la casa di fronte per costituzione petrosa e dalla crepa profonda e che lui setaccia quando lei fiata, quando lei cerca, quando poi sempre lui racconta e che, per osmosi, a lei si lega nella crepa/ferita di quel suo ginocchio squarciato in una domenica di gioco.
“Nella purezza dell’infanzia, quando i sensi non distorcono le immagini, notai l’analogia fra la ferita nel mio ginocchio e quella nel muro”, scrive il poeta portandosi indietro e lo scrive riandando al frastuono delle ghiaie che come “i cocci celati nei prati” eguagliano il nascosto precipitato dalla bocca di quella casa che “sputava la sorgente / della Crepa”.
Ma attenzione: “A chi pensi che la Crepa / sia metafora, allegoria, / l’ammonisco che s’inganna: / peculiare è che sia viva, / il suo istinto – che ho vissuto – / non fu sogno, né malìa.”.
Esplicativo è il monito a non lasciarsi trascinare in un alcun fraintendimento interpretativo.
La fecondazione dei testi, infatti, è perfettamente coincidente con la fecondazione stessa del racconto nella necessità di restituire, attraverso un equilibrato dinamismo psico-narrativo, la rappresentazione evolutiva di uno spazio sensibile, ammaliante ed echeggiante nell’epidermide delle mura, nell’epidermide dell’uomo.
Tutto qui è reale. Tutto è sfera d’azione viva e battente in ciascuna delle nove sezioni costitutive l’architettura stessa del registro poetico: La Casa, La crepa, La fiducia, Il pericolo, La rabbia, La distruzione, La Crepa Madre, La cerca, Epilogo. Tutto è traccia pensata nell’accadere di una prosa anticipatrice la versificazione della vicenda scorta in alternanza di settenari e ottonari che alimentano una intonazione ritmica aderente ad un modello linguistico d’altro tempo o per meglio di quel tempo atavico pertinente a una cronistoria schiusa nel gesto mediato dall’incantesimo delle parole educate nella sfera culturale che avvolge l’autore mentre “Le finestre lucevano / sui vicoletti bui”.

daìta martinez

Dal capitolo IV – IL PERICOLO

1
Tanti lustri rotolando,
riducono le vertebre
agli anziani e allo spazio
la vitale dimensione.
Cercarono i Colombi, soli,
madri ormai le figlie,
d’ognuna germogliati
adesso i propri rami,
la più consona dimora.
Mesti porsero alla Crepa
– lo spirito dei muri –
l’omaggio di saluti lagrimosi.

2
L’aria di quei luoghi,
che ambita permane
da quando l’uomo accese
colpi brutali di magli
e le presse industriali,
monda spira chiamando
su verdi balze i borghesi.
Le solcano i ruscelli
e d’estate la frescura
– ch’esala il mormorio
d’acque fra i silenzi –
l’affanno smorza e la calura.

3
Tinnivano gli orpelli
dei polsi ai neo padroni,
allo scuotere del capo
e le mani alla vista
delle pareti antiche.
Gli alti soffitti violati,
macchiati dai giorni
e talvolta dei limbelli
di vernici penzolanti,
negli angoli umettati,
vibravano elastici
a sibili e spifferi.

4
Decade la natura:
che tutto lento sciolga.
Entro le vecchie mura
scuro e placido è marcire
e, un pesce di fondale
nell’acqua ch’è oleosa,
sentì vibrar la Crepa
l’attacco al fiato muto,
al respiro della pietra:
abbatter guaste le pareti
e porte, metter tubi,
spazzare tele morte.

5
Decise quella mente
arcana e minerale,
d’opporsi alla calata
dell’orda dei borghesi.
S’apposta nella tana,
la fessura che incombe
al piano secondo, pende
sopra al talamo il nido,
pronta a urlare i sordi
suoi lamenti di ghiaie
e gran barriti nervosi,
di pietre scrosci, rovesci.

 

 

La Crepa Madre