“Sono una giornalista/ e nel mio nome c’è una promessa,/ che m’insemina la colpa”: così dice di sé Felicia (il nome-promessa) Buonomo, autrice di un libro di poesia a tema: Cara Catastrofe.
Si tratta di una precisazione essenziale alla comprensione della genesi dei testi, in modo più specifico di quelli inseriti nella seconda sezione “Corpo”, basati su autentiche testimonianze, o raccolte direttamente, o desunte dai fatti di cronaca di cui quotidianamente la Buonomo si occupa.
Le protagoniste sono tutte donne fatte oggetto di un amore malato e violento, del quale spesso rimangano vittime nell’anima e nel corpo. Esse si raccontano anche da morte, come in una nuova Spoon River, e l’identificazione dell’autrice con esse è così profonda da lasciare che il sistema nervoso del soggetto narrante si innesti nel suo in una commovente condivisione, avente il suo corrispettivo grammaticale nell’assunzione del pronome “io”.
Felicia Buonomo indaga con empatia nel teatro spesso enigmatico di mondi interiori feriti, che tuttavia sembrano affacciarsi ancora sul territorio di una possibile luce, perchè spesso queste donne non sanno odiare il proprio carnefice, e muoiono con lo stesso stupore e incredulità con cui il personaggio dantesco di Francesca compiange “la bella persona che mi fu tolta”.
Funzionale a tanto magma emotivo è il dettato poetico: i racconti messi in bocca alle tante vittime sono così asciutti e taglienti e, allo stesso tempo, così teneri, e spesso pregni di una tale grazia espressiva e metaforica, da suscitare un profondo coinvolgimento in chi legge.
Stupisce, soprattutto, la sensibilità di Felicia nell’affrontare il nodo psichico della dipendenza della vittima dal suo carnefice, il senso di colpa generato da una relazione malata, il potere immaginativo, sia pure nella discesa ai propri Inferi, che la relazione sessuale mette in moto, talmente assoluto da eliminare dalla scena del mondo ogni altro elemento che non sia il corpo, e gli unici oggetti nominati sono quelli che lo hanno offeso, come, per esempio, la corda che gli ha tolto il respiro, il fiume che l’ha inghiottito.
Questa seconda sezione costituisce senz’altro il cuore della raccolta, ma non di minore importanza sono le altre due.
Nella prima, il titolo, “Cara catastrofe”, è anche il sintagma che costituisce il primo verso di tutti i testi che la compongono: un “tu” destinatario solo apparentemente astratto, se è vero che può, così mi sembra, essere identificato con la poesia, che quell’astrazione volge subito in spirituale concretezza. Il termime “catastrofe”, infatti. rimanda etimologicamente all’azione del capovolgimento, ossia al compito primo della poesia, che, nel suo costante corpo a corpo con la vita e il suo carico di dolore, buio e morte, riesce a trionfare, sacralizzando ogni cosa, ogni gesto, ogni istante di vita e regalando loro dignità e ragione grazie alla perentorietà rivelatrice della sua pronuncia.
Nella terza e ultima sezione, “Sinceramente tua”, l’autrice, dopo avere dato voce alle “altre”, si interroga sulla natura stessa dell’amore. L’approccio non è confortante, come ci avverte l’esergo tratto da Mahmoud Darwish: “L’amore è la nostra sincera bugia”, un’affermazione contraddittoria che intende sottolineare l’enigmatico groviglio di un sentimento che sta sempre in bilico tra gioia e dolore, volontà e incapacità, desiderio e delusione. Nei testi che la compongono questa volta prevale la componente autobiografica: l’autrice racconta una storia che ruota su “una falsa idea di felicità”, alla quale, infine, sa dire addio, sperando nella misericordia del tempo, più che in quella divina.

Franca Alaimo