Definire la Poesia è troppo semplice, direi.
Almeno per quanto mi riguarda.
La Poesia è una passione. Niente più e niente di meno.
Così come, per altri, lo so andare a pesca o fare snowboard.
E in quanto tale, assume il suo valore.
Di strumento terapeutico. O spettacolo catartico.
Ti attacchi alla Poesia perchè c’è poco altro, che ti affascini.
E’ un moto naturale. Una spinta inevitabile.
Un appiglio di salvezza nel deserto esistenziale.
Il trucco cui ti attacchi per sentirti un po’ più vivo.
Come ebbi a definire tempo fa un’altra mia grande passione,
(la Fotografia),
se fosse una donna, la Poesia, sarebbe un’amante.
Quella perfetta.
Quella a cui tornare si trasforma in esigenza insopprimibile.
Perché, per dirla tutta,
di minestre riscaldate la vita è già stracarica.
E un nuovo verso,
le parole al posto giusto,
sono quello che ti occorre per ridare gusto a tutto.


 

CORTINA FUMOGENA (nel piano B era prevista l’evasione)

Ok ok ok.
Mettetevi seduti e rimanete ad aspettare.
Qual è l’alternativa, d’altro canto?
Il Pil che cola a picco e la cena che si fredda.
E Angela e i kapò che se la spassano alla grande,
se è vero com’è vero, che avanti a comandare
è meglio che scopare.
C’eravamo tanto amati e i divorzisti che si sfregano le mani.
Feeling.
Questione tutta lì.
Con noi che provavamo a ridipingere il domani,
i buchi nelle tasche
e gli scontrini, via via sempre più corti,
nei carrelli della spesa.
L’articolo 18 è come quell’apostrofo, solo un po’ più rosso,
in mezzo alle parole pronunciate dal padrone:
“ok, adesso via dal cazzo che qui non servi più”.
E fine mese diventa la frontiera,
il Messico e gli States,
i muri a protezione ed i cecchini che a ogni sparo
migliorano la mira.
A furia di resistere non c’è rimasto tempo
nemmeno più per piangere.
Da una lacrima sul viso a quelle lacrime di rettile.
La borsa e gli accessori in vera pelle di Fornero.
E crescono i furbetti nei loro quartierini.
E a Cortina non si emettono fatture.
La neve artificiale e quella chimica.
Incartatecele pure,
le briciole avanzate dai cenoni
che ogni giorno celebrate.
Le useremo in pausa pranzo.
In quelle fuori casa
e in tutte quelle
consumate troppo in fretta
prima di tornare ad assemblare i vostri SUV.
L’aria italica che satura i polmoni.
Persino a Fukushima,
se provavi,
potevi respirarne di più pura.

*

NEI TITOLI DI CODA REMARQUE RIVIVE SEMPRE

Poi, per qualche istante, ritornavano i silenzi.
E tu tornavi a chiederti,
come il brano di Trenet,
che ne sarebbe stato, infine,
del nostro amore sterile.
E delle nostre giovinezze.
Ora che ad Atene s’incendiano i palazzi
e la democrazia era un insulto.
Per qualunque intelligenza.
La deriva del vecchio continente.
Pisciare per le strade è più volgare che pisciare sui cadaveri.
O in bocca al Capitano.
Le Siberie trapiantate tra l’Emilia e il centro-sud.
Congela ogni progetto e non curartene. Per i prossimi 30 anni.
La nostra prospettiva è una promessa andata a male
mentre termina il tg dell’edizione delle 20.
Nessuna novità dal fronte occidentale.
Nei titoli di coda
Remarque rivive sempre.
Le giornate che hanno il peso
di una marcia di elefante.
Le esistenze che diventano
barili consumati.
Per raschiare altre emozioni
potremmo darci fuoco come i monaci del Tibet
o le vittime del Fisco.
E avremo, come loro, il nostro spazio in prima pagina.
Giusto il tempo che abbia eco
in un normale lunedì
tra le code in autostrada
e le neo offensive turche.
Poi mi dici che, magari,
dalle gru dove si arrampicano i padri licenziati
e gli operai cassintegrati,
ci verrebbe un po’ più facile
giocare con le stelle.
Che a volte, per resistere,
il trucco sta nel fingere di non aver lasciato mai
l’età dell’innocenza.
Che tanto tutto il resto,
persino il nostro amore,
è solo un vuoto a perdere.

*

CIELOCCIDENTALE (tra gasolio e Moet & Chandon)

I sogni che deragliano al mattino
sulle linee arrugginite dei binari morti.
Insieme ai pendolari
e alle tazzine dei caffè che ci riscaldano nei bar.
Le ossessioni.
Le mie sclere e i fuochi fatui delle tue passioni.
I forconi che reagiscono.
I tassisti che si fermano.
Stanotte dormiremo in compagnia di camionisti bielorussi
dentro i Tir bloccati in coda
lungo gli argini dell’Autosole.
Il gasolio e il Moet & Chandon.
Qual è la differenza?
Conservane una tanica,
perché alimenti ancora
le nostre assurde sbronze al diesel.
Mentre il cielo si dilata e il ponte 4
fa riemergere i cadaveri.
Per sfondare le tue porte
serviranno microcariche.
O bossoli lisergici.
Gli scioperi selvaggi.
L’Italia paralitica.
I nuovi laureati assunti in massa
nei negozi dei cinesi.
Li battezzino, guardandoli negli occhi,
i parroci pedofili.
Che c’è più pulizia nelle discariche campane
che in ognuno degli sporchi vaticani.
Gli scaffali cominciano a svuotarsi.
Il panico che sale.
La vergogna di un cieloccidentale
assuefatto all’abbondanza.
Ma nel ventre di Kabul
e nel ventre di Pyongyang,
la fame è una costante.


 

Michele Rieri (Reggio Calabria, in un giorno del ’76)

Fotografia, letteratura (meglio se maudit), cinema d’autore, musica (dal grunge al jazz degli anni ’30 passando per il blues, gli chansonniers e il seminale rock dei seventies). E poi ancora Arte (da Pollock a Renoir, da Haring a Magritte), viaggi (purchè NON d’agenzia) vino da enoteca e birra artigianale (Belgium rules!).
Cocci che raccolgo e poi rimetto insieme. Definendo i miei contorni.