VACCA DELLA POESIA DICE
Non è facile definire la poesia. Ancora più difficile è stabilire se la poesia serva a qualcosa. Una cosa è certa, la poesia è la forma più alta del pensiero. La poesia arriva dove non arriva la filosofia, la letteratura, la scienza.
La poesia che non salva la vita è soprattutto un infinito mondo di possibilità in un tempo, soprattutto come il nostro, che non offre nessuna via di fuga.
Mi piace pensare alla poesia come a un’affermazione e negazione di paradossi che sta nell’attraversamento. Un modo esplicito di osare e azzardare, di chiamare le cose con il loro nome. La poesia serve a qualcosa soltanto se il poeta non si nasconde dietro le parole. Solo la poesia ha la funzione di riportarci alla presenza delle persone e delle cose. In proposito voglio ricordare alcune parole di Yves Bonnefoy: «La via della poesia è stretta, e per questo motivo non pretendo che essa sia in grado di risolvere nulla in modo durevole o profondo nella nostra società in preda alla grande crisi. Bisogna ritenerla necessaria, ma come lo sono la carta dei fondali marini o il portolano o la bussola perfino su una nave nella tempesta, e che fa acqua e teme di affondare. Senza di essi, in ogni caso, quella nave non può raggiungere il porto». La poesia deve essere dettata dall’urgenza e il poeta, mai come in questo momento delicato, ha il compito di essere guardiano dei fatti. In uno stato di vigilanza l’attraversamento di ogni cosa è l’esperienza alla quale il poeta non deve mai rinunciare per testimoniare il proprio tempo. La poesia è un taglio netto che mette la parola in condizione di esprimere i nonsensi e i non luoghi dell’esistere. Il poeta non deve fare altro che attraversare la parola e farsi artefice della sua nudità in modo da esprimere della vita i respiri, i battiti avendo la penna ferma sul ciglio. Quello che conta è non avere mai paura di oltrepassare il confine.
LA SUA POESIA CI DICE
da Non dare la corda ai giocattoli, Marco Saya edizioni, 2019
Di città buie dentro stazioni vuote
La luce in bilico sulla città
è la giusta elettricità sul tempo sospeso
degli uomini che hanno spento tutto.
La vita è un mestiere difficile
che svanisce in un’aria distratta.
Con gli occhi frughiamo
il ghiaccio che non si scioglie
in questo freddo adulto
che racconta storie disperate.
Un controcanto di pretesti
si mangia le ore di occasioni perse.
Attendere anzitempo nelle stazioni vuote
quando non c’è l’ombra di un treno.
Tutto ha i minuti contati
tranne il disastro che dilata il tempo dell’abisso.
*
Non dare la corda ai giocattoli
Per rifare il mondo
serve una dose massiccia di realtà.
Oltre tutte le porte che attraversiamo
si finisce sempre nell’inganno del sogno.
Aprire gli occhi
abbandonarsi all’errore
trovare quella ragione per guardare in faccia i crolli.
Ma a nessuno viene in mente
di essere una ferita:
alla fine manca il coraggio
di non dare la corda ai giocattoli.
*
Il mondo è un quadro appeso a una parete che crolla
C’è una parte di luce
nel fianco di una crepa
sul muro le lesioni squarciano
solchi per un buio che non desiste.
C’è un assedio di cenere
nelle le parole che affoghiamo
in una conversazione tra sordi.
Il mondo è un quadro
appeso a una parete che crolla
bisogna scavare
per venire a capo di qualcosa o di niente.
DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA
Gian Ruggero Manzoni, dalla prefazione a Nicola Vacca, Mattanza dell’incanto, Marco Saya Edizioni, 2013
Nicola Vacca indica, in questo suo ultimo libro, oltre che le cause, anche i possibili effetti del crollo, affidandosi alla poesia, la quale ritorna a diventare “metodo sociale di lotta” al fine di sensibilizzare (accusare) poi di spronare una possibile reazione a uno stato, non accettato, putrescente e cancrenoso.
Paolo Ruffilli, dalla prefazione a Nicola Vacca, La grazia di un pensiero, Antonio Pellicani, 2002
La disposizione di Vacca alla poesia è tra le più rigorose, sul piano delle premesse; nasce da una visione di distacco e di misura che, non escludendo affatto il versante più immediato dei sentimenti e delle emozioni, tende a ricomporre sempre il quadro “puro” o depurato, appunto di pensiero. Il fare poesia è per Vacca, ironicamente quanto basta (ma l’ironia è la coscienza della modernità) l’occasione per catturare qualche segno e imprigionarlo come dentro una ragnatela, qualche brandello dell’accensione della vita nel cosmo; nella consapevolezza materializzata della parola, traduzione sensibile di un rinobilitato impero dei sensi pronunciato a piene lettere.
Giulio Maffi, dalla prefazione a Nicola Vacca, Non dare la corda ai giocattoli, Marco Saya Edizioni, 2019.
Vacca è un militante in prima linea della poesia, cosa ben differente da essere un presenzialista del mondo poetico. La sua attività critica è nota, come non ricordare ad esempio il suo “Lettere a Cioran”, su carta, sul web, a tu per tu con un pubblico, sempre vivo, della poesia.
VACCA E I POETI “INFLUENCERS”
Poeti che hanno contribuito alla mia formazione e che amo leggere: Paul Celan, Giuseppe Ungaretti, Mario Luzi, Amelia Rosselli, Franco Fortini, Luigi Di Ruscio, Vittorio Sereni, René Char, Ezra Pound, Jacques Prévert, Arthur Rimbaud, Antonin Artaud, Valerio Magrelli, Vladimir Majakovskij, Dino Campana, Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Anne Sexton, Silvia Plath.
In dono a Nicola e ai lettori di di Larosainpiù, Nessuno, non dimenticare nessuno (29 settembre 1960), da Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-1969, traduzione e cura di Michele Ranchetti e Jutta Leskien, Torino, Einaudi, “Supercoralli”, 2001.
Nessuno, non dimenticare, nessuno
si piagava frugando, su sentieri del cuore,
nel tuo tenero interno.
Fin che una parola ti uscì dalla bocca,
riserbata e taciturna:
con essa, non dimenticare, tu vivi,
da essa ti cresce la forza
per ascoltarmi, quando io dico a te:
vieni, io ti voglio,
ti voglio non amare –
Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È scrittore, opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi legati al mondo della poesia contemporanea. Dirige la rivista blog Zona di disagio. Ha pubblicato: Nel bene e nel male (Schena, 1994), Frutto della passione (Manni, 2000), La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani 2002), Serena musica segreta (Manni, 2003), Civiltà delle anime (Book editore, 2004), Incursioni nell’apparenza (prefazione di Sergio Zavoli, Manni 2006), Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni 2007), Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, Edizioni Il Foglio, 2008), Esperienza degli affanni (Edizioni il Foglio, 2009), con Carlo Gambescia il pamphlet, A destra per caso (Edizioni Il Foglio, 2010), Serena felicità nell’istante (prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni Il Foglio 2010), Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio, 2011), Mattanza dell’incanto (prefazione di Gian Ruggero Manzoni, Marco Saya edizioni, 2013), Sguardi dal Novecento (Galaad edizioni 2014), Luce nera (Marco Saya edizioni, 2015, Premio Camaiore 2016), Vite colme di versi (Galaad edizioni, 2016), Commedia Ubriaca (Marco Saya, 2017), Lettere a Cioran (Galaad edizioni, 2017), Tutti i nomi di un padre (L’ArgoLibro editore, 2019), Non dare la corda ai giocattoli (Marco Saya edizioni).
I “giocattoli” con cui ci intratteniamo sono i nostri attaccamenti, i legami che ci incatenano al finito, i mille fili che ci fanno ballare come burattini e che non abbiamo il “coraggio” di recidere, perché l’alternativa alla finzione in cui si risolve l’esistenza sarebbe una raggelata indifferenza, anticamera della morte. Mi pare che questa scrittura, anche per mezzo della ruvida essenzialità con cui è intessuta, tocchi un nervo scoperto, lancinante: il dissidio tra abbandono al desiderio e ammissione della sua vanità, la scoperta che ogni gesto umano è fuga e autoinganno ed implica una rimozione del vero. Siamo come bambini, che nel momento in cui giocano hanno il dono di dimenticare di stare giocando, ma è preferibile “dare la corda ai giocattoli” che riconoscere il vuoto che sta dietro alle maschere.
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