Il cinquantenario della scomparsa di Ungaretti non è passato inosservato. Tanti gli articoli sui giornali, i servizi alla Rai, sia alla radio sia in televisione, che ci hanno fatto risentire la sua voce. Ungaretti, a differenza di tanti altri poeti, amava parlare della sua poesia e, inoltre, non disdegnava di leggere i suoi versi declamandoli come pochi sanno fare. Scandiva le sillabe e quasi li faceva vibrare. Le sue letture costituiscono delle autentiche lezioni sulla ‹‹parola nuda››, ‹‹scarna››, ‹‹essenziale››, cioè su quelli che sono stati ritenuti i tratti distintivi della sua poesia. Ascoltandolo recitare si comprende ciò che è stato scritto sulla sua poesia in centinaia di pagine critiche, tante volte oscure.

A conferma del suo talento di ‹lettore››, quando nel ’68 la Rai mise in onda il seguitissimo sceneggiato sull’‹‹Odissea››, Ungaretti introduceva ogni puntata leggendo dei passi del capolavoro di Omero, come ricorda Fabio Stassi in un bellissimo libro sulla vita di alcuni tra i più straordinari poeti del nostro Novecento, ‹‹Con in bocca il sapore del mondo›› (Minimum Fax, 2019).

Ungaretti compare anche in un singolare film-documentario del suo amico Pasolini, ‹‹Comizi d’amore›› (1963). In quel film-inchiesta Pasolini chiede alla gente che incontra, e tra di essi tanti ragazzi, nel suo giro per l’Italia, la loro opinione sull’amore e sul sesso. Accanto a uomini e donne del popolo vi sono anche alcuni intellettuali (Cesare Musatti, Moravia, tra gli altri) e Ungaretti, al quale il poeta friulano chiede il suo punto di vista sull’omosessualità. La risposta di Ungaretti è originalissima quanto intelligente (poi confermata da studi specifici): ciascun uomo ha una sua sessualità diversa da quella degli altri e pertanto contrapporre sic et simpliciter l’omosessualità all’eterosessualità è quanto meno riduttivo.

Come osserva Giacinto Spagnoletti, uno dei critici che più si è addentrato nella sua poesia, l’opera e la vita in Giuseppe Ungaretti sono strettamente connesse. Perciò, per comprendere meglio la poesia di Ungaretti –attraversata da diverse e differenti fasi-, è bene seguire i percorsi della sua esistenza. Esistenza intensa, ricca di esperienze e girovaga per più continenti.

Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio del 1888, dove la sua famiglia di origini lucchesi era emigrata e il padre, che perderà assai presto (quando aveva appena 2 anni), lavorò nella costruzione del canale di Suez. Nella terra delle piramidi Ungaretti trascorse l’infanzia, l’adolescenza, la prima giovinezza, ed ebbe accanto una madre dalla tempra forte e dolce. A lei dedicherà versi bellissimi: ‹‹E il cuore quando d’un ultimo battito / Avrà fatto cadere il muro d’ombra, / Per condurmi, Madre, fino al Signore, / Come una volta mi darai la mano››. Il soggiorno egiziano inciderà sulla sua ispirazione tanto da affermare che ‹‹è il deserto…lo stimolo che dà moto poi alla poesia››): tra le sue frequentazioni in quella terra la ‹‹baracca rossa›› dell’anarchico Enrico Pea. Più di uno, e non privi d’interesse, i suoi scritti sull’Egitto: per chi volesse saperne di più si consiglia il saggio della studiosa catanese Dora Marchese ‹‹Nella terra di Iside››, Carocci, 2019.

Il poeta lascia l’Egitto e si trasferisce a Parigi per studiare alla Sorbona senza però mai laurearsi. A Parigi s’imbatte nelle avanguardie culturali del tempo: conosce Picasso e Braque tra gli altri, ma anche letterati italiani che si trovavano nella capitale francese: Prezzolini, Soffici, Palazzeschi, Papini. Tra i tantissimi incontri quello più importante per la sua formazione poetica è con Apollinaire. Animo inquieto, Ungaretti abbandona Parigi e gli studi per partecipare da volontario alla ‹‹Grande Guerra››. L’esperienza della guerra stimola la sua ispirazione: nelle trincee sul Carso Ungaretti scrive, in foglietti d’occasione sparsi qua e là, i suoi primi versi. Li raccoglie e li riordina un ufficiale suo amico, Ettore Serra, che li fa pubblicare nel 1916 in 80 copie col titolo ‹‹Porto sepolto››. Il titolo allude alla presunta presenza di un porto sommerso ad Alessandria d’Egitto, una fantasticheria appresa da amici quand’era ragazzo. Le poesie di ‹‹Porto sepolto››, in tutto 33, costituiscono il nucleo della successiva silloge ‹‹Allegria dei naufraghi››. Un titolo che è un ossimoro e che esprime la strana vitalità che anima chi ha scampato la morte e i pericoli estremi. Poi ‹‹Allegria dei naufraghi›› diventerà ‹‹L’Allegria››. E’ questa la raccolta che impone Ungaretti all’attenzione del mondo letterario. La sua è una poesia spoglia di artifici retorici, folgorata da brevi e improvvise illuminazioni, con più di un richiamo ai simbolisti francesi ( Mallarmé, Rimbaud, Apollinaire, soprattutto) sia nella visionarietà immaginifica sia nella forma che scardina e scompone la metrica tradizionale, ricorre con frequenza ad analogie, ignora la punteggiatura, presenta lunghi spazi bianchi. Nei suoi versi, accanto alla memoria di persone care, il dramma della guerra che mette in risalto la precarietà della condizione umana, la fratellanza tra gli uomini, la vita che si rivela in tutta la sua pienezza nei momenti più tragici. E’ una poesia, quella de ‹‹L’Allegria››, molto innovativa, che inaugura la stagione dell’‹‹ermetismo››, locuzione coniata da Francesco Flora in senso spregiativo per evidenziarne l’oscurità; non a caso Flora, critico letterario allora di peso (sua una monumentale ‹‹Storia della letteratura italiana››) seguiva i dettami della scuola crociana che manifestò la propria avversità nei confronti di quella nuova poesia giudicata cerebrale. Se si vuole offrire una connotazione alla poesia ungarettiana de ‹‹L’Allegria›› (ed è sempre complicato e tante volte fuorviante etichettare scolasticamente una corrente poetica), più felice è l’espressione ‹‹poesia pura›› che pone l’accento sulla limpidezza di versi privi di ridondanze. A ben vedere però, senza nulla togliere alle novità introdotte da ‹‹L’Allegria››, la vis iconoclasta del primo Ungaretti sotto il profilo metrico è meno sovversiva di quanto sembra. Se proviamo infatti a disporre in modo diverso i versi di diverse poesie de ‹‹L’Allegria››, ritroviamo in prevalenza endecasillabi e settenari, le forme metriche cioè più tradizionali.

Nelle sillogi che seguiranno ‹‹L’Allegria›› si stempera la portata rinnovatrice della poesia di Ungaretti e si registra, fermi restando certi tratti salienti, un ritorno al classicismo con una predilezione, sia sotto il profilo formale che contenutistico, per Petrarca e Leopardi. Così in ‹‹Sentimento del tempo››, in cui prevalgono gli aneliti religiosi e che è legata alla sua esperienza di vita romana e ne ‹‹Il dolore››, nata invece in Brasile e in cui si avverte lo strazio per la morte del fratello (‹‹Se tu rivenissi incontro vivo, / Con la mano tesa, / Ancora potrei, / Di nuovo in uno slancio d’oblio, stringere, / Fratello, una mano.›› e soprattutto del figlio Antonietto: ‹‹Mi porteranno gli anni / Chissà quali altri orrori, / Ma ti sentivo accanto, / M’avresti consolato…››). Al riguardo si potrebbe osservare che in Ungaretti si è verificato un processo diverso e inverso rispetto a Montale che, invece, partendo da una poesia inizialmente più incline alla tradizione, si è poi indirizzato verso le forme più estreme di ‹‹Satura›› dalle quali hanno tratto origine tante delle evoluzioni poetiche ancor oggi in auge.

Ungaretti ci ha lasciato poche poesie e si è preoccupato, nei suoi ultimi anni, di rivisitare le sillogi date alle stampa: il che conferma l’eterna irrequietezza del suo spirito.

Antonino Cangemi