Eppure ancora i nespoli–Dissertazioni sullo haiku (Nulla Die, 2020) è un’opera di pregevole fattura, tanto più se si tengono in considerazione il rigore e la precisione con cui il cilentano Antonio Sacco si presta a una disamina puntuale del genere haiku. Tre le sezioni che compongono l’opera: la prima contiene 58 componimenti dell’autore organizzati in base alle quattro stagioni dell’anno secondo il riferimento stagionale (kigo/kidai) e a un tempo accompagnati da relativo commento, che è da intendersi per il lettore come occasione di approfondimento dei temi scelti: «La scelta di apporre a ciascun haiku un commento è scaturita dal fatto che spesso, soprattutto per chi non è ferrato in materia di poesia nipponica, le giustapposizioni di immagini in un dato componimento (toriawase) e i temi affrontati, vengono capiti con difficoltà e fatica, pregiudicando, quindi, la piena comprensione di quel determinato haiku»; la seconda raggruppa sedici saggi con cui Sacco approfondisce la propria attenzione intorno ad alcuni aspetti peculiari del genere haiku, illustrandone la storia e la venuta a contatto con la poesia occidentale, le tecniche di composizione e le relazioni tra poesia e pittura; la terza, infine, è dedicata allo haibun, ovvero a un genere letterario costituito da una parte in prosa e uno (o più) haiku giustapposti a essa.
Il tono con cui Sacco accompagna il lettore nella scoperta dello haiku non dà mai impressioni di autoreferenzialità né di ostentazione; al contrario, è la voce di un poeta che attraverso lo haiku valorizza tutta l’essenzialità del dire, esaltando, con immediatezza, le sfumature dell’esistenza.
Di seguito, una scelta di haiku dell’autore, cui si farà seguire un breve commento:
“pozza in un fiume:
smettono di scorrere
le foglie morte”
In un anfratto del fiume, immagine eraclitea del divenire, si è creata una pozza nella quale si radunano le foglie morte. Questo haiku, attraverso poche semplici pennellate, restituisce una simbolizzazione classica della morte, intercettando alcuni echi tematici che correlano le foglie al carattere precario dell’esistenza. Tuttavia, quest’ultima appare racchiusa entro la ciclicità del divenire di cui il fiume è immagine simbolo per eccellenza.
“luna velata-
soltanto una cicala
in questa notte”
In questi versi si raddensa tutto il mistero di un’atmosfera notturna. La luna pare assumere connotazioni archetipiche che conducono il poeta a interrogarsi immergendosi nell’ascolto dei rumori notturni: «soltanto una cicala/ in questa notte». A tal proposito, pare interessante considerare il componimento a seguire:
“bruma invernale:
il vuoto di una pozza
ripieno d’acqua”
La tensione del poeta a oltrepassare i confini del visibile si esprime qui attraverso l’evocazione di un paesaggio invernale, cui Sacco sovrappone alcune considerazioni della filosofia zen, come spiega in nota al testo: «Innanzitutto bisogna cambiare punto di vista sulle cose del mondo: riuscire a vedere l’ordinario sotto un’aura di straordinario. Per lo zen tutto è impermanenza, il vuoto («ma») riveste un ruolo cruciale in quanto fondamento dell’esistenza. Intorno al concetto di vuoto i giapponesi hanno creato una vera e propria estetica […]». L’impermanenza figura allora per Sacco come oggetto di riflessione poetica, analizzato secondo una chiave interpretativa, tipicamente orientale, che vede il vuoto come spazio necessario perché il soffio vitale possa agire in un flusso continuo. D’altronde, nell’autore, il riferimento ai grandi poeti di haiku è costante:
“vento d’autunno-
è stato un buon amico
il vecchio melo”
La vita soffia in direzione di un flusso nel quale la morte è vista come necessità. La malinconia che questa comporta ispira lo haijin, nutrendone la spinta contemplativa:
“ciliegio spoglio:
in pochi ora notano
l’ombra che traccia”
L’autunno ha addormentato la vitalità del ciliegio, la cui ombra ora si proietta intorno, relegandolo nell’oblio dei passanti che, solo perché è mutata la stagione, non lo mirano più. L’intreccio tra vita e morte permea la poesia di Antonio Sacco, che si interroga anzitutto sul modo in cui gli uomini concettualizzano il divenire. Eppure ancora i nespoli sembra così nascere dall’esigenza del poeta di evidenziare le componenti rigenerative intrinseche all’esistenza, conciliate in un flusso imperituro entro cui si esprime il segreto dell’universo.
Pietro Romano
Antonio Sacco è nato ad Agropoli (Sa) nel 1984, vive e compone versi nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (Vallo della Lucania). Compone non solo poesie in versi liberi ma anche poesie in metro prestabilito (sonetti, odicine anacreontiche, strofe saffiche, haiku, tanka, senryu). È uno studioso e ricercatore della poesia estremo-orientale (soprattutto della poesia haiku), ha pubblicato su molte riviste internazionali dedicate al genere poetico dello haiku (Tha Mamba, Chrisantemum, The Mainichi, Ashai Shimbun, Harusame, Haikuniverse, Otata, Failed Haiku, Yoisho), è l’autore di oltre venti articoli tecnici e divulgativi sulla poesia in versi liberi e sulla poesia haiku. Già giudice in due concorsi nazionali di poesia per la sezione haiku, è stato, inoltre, scelto fra i 100 autori di haiku europei più creativi nel 2018 e nel 2019 (Haiku Euro Top). Ha pubblicato due sillogi poetiche, l’ultima delle quali è intitolata “Eppure ancora i nespoli – Dissertazioni sullo haiku” (Nulla Die Edizioni, 2020).