“Le case con gli occhi verdi” è una raccolta di sedici liriche in veste di plaquette. Un gioiellino estetico che rimanda ad un altrettanto prezioso contenuto, la materia viva del testo, la poesia di Rosanna Frattaruolo. Il titolo richiama non solo la casa come immagine protettiva, il tradizionale nido della poesia italiana di pascoliana memoria, ma “le case”, una pluralità quindi che è diversità e molteplicità di contenuti, ma anche di punti di vista. Le case hanno gli occhi verdi, molti e sempre aperti, che, come dice Rosanna nelle sue liriche, se “non posso chiudere/ allora li cavo e scavo/ fino all’orbita”, occhi che osservano dalle case, ma anche dentro le case, perchè “scavano”, appunto. Case con gli occhi verdi come il mare che si guarda di lontano, come gli occhi di un amante che ti dilatano le labbra fino al molo, che ti inabissano e ti lasciano sanguinare di gioia nella poesia x; e verdi come quelli dell’autrice che conservano nelle iridi cangianti il mare del sud, lo stupore e la malizia dell’oro tra le onde. Occhi che nella semantica della spoliazione attributiva si fanno spesso orbite nella i e nella xiii poesia a perforarsi fino a fondersi e trasfondersi nella xiv quando “ci siamo seduti così vicini/ che gli occhi non ci servivano più”. E allora forse qui gli occhi hanno assolto la loro funzione, hanno così scavato, cercato, acquisito, conosciuto che possono da ultimo non servire più.

La poetica di Rosanna Frattaruolo ha la capacità di stupire e sorprendere con un lessico che trasmuta da immagini e lemmi tradizionali e lirici, in versi quasi prosastici e quotidiani, a immagini e parole mutuate dal gergo specialistico, quale quello matematico-economico come la locuzione “a frattali”, quello fotografico con “sottoespongo” nella poesia vii, quello chimico “nomenclatura”, o “acido gamma-amminobutirrico” nella xiii, in una coesistenza che spiazza. La poesia dell’autrice, come tanta poesia contemporanea, ha perso lo stretto contatto con la forma, quella metrica tradizionale e si fa più poesia di parola. La sua è una poesia che ha un chiaro legame con la fotografia non certo come mimesi diretta del visto, ma intesa come arte concettuale, arte che è figurale ma anche figurativa, dove il senso analogico lascia il campo e sfuma nel corpo della parola. Per usare le parole del prof. Stefano Colangelo in merito alla poesia oggi, “in questo tipo di arte dobbiamo chiederci se è l’immagine che si fa verbo poetico o è la parola poetica che si condensa nell’immagine”. L’immagine dice prima di tutto qualcosa sull’occhio, (ed ecco che torniamo all’occhio della Frattaruolo); l’occhio è il contemplato, il fotografato, così come il soggetto poetico è ciò che viene parlato e non più il dispositivo che parla. L’occhio del poeta ha da sempre la capacità di saper leggere dentro la luce, i colori, la forma, l’azione o il movimento, così come nel tempo, per tradurre poi ogni entità in un mondo di parole. In questa plaquette c’è un continuo rimando tra forma e verso e verso e forma e il rapporto immagine-poesia è innegabile. La poesia della Frattaruolo è poesia concreta (ossia visiva) materiale verbale, parola che si fa poiesis. Passiamo da una corporizzazione del testo a una testificazione del corpo. Poesia, insomma, come processo e come azione. È infatti quella de “Le case con gli occhi verdi” è una poesia dinamica, di movimento dall’interiorità all’esteriorità, un fuori che “salva dalla mania di conservazione del pensiero” come l’autrice dice nella vii, che insegna come nella ii ad “ascoltare la versione del lupo” per non avere più paura del bosco e si fa quindi azione. Poesia di azione e corporea dicevamo: un corpo che è donna e che ha una sua sensualità, che rivendica a gran voce la prepotenza di essere donna, ma anche il dolore di essere donna, come nei versi di “addomesticare la bestia” o in v dove l’autrice dice “è sul ring che mi vuole/ non preda ma arpia/… mi punzecchia le carni/ sfida il mio capezzolo” o in xii con “polifonica masticazione/ del tuo essere lingua/ tra i miei denti/ e tanta tanta saliva” o in xv “passi l’amaro della tua pena/ dalla tua bocca alla mia”; per chiudere nella xvi “ti ho preso le misure come un sarto/ per capire come mi avrebbe vestita il tuo corpo”. È un linguaggio, quello della Frattaruolo che non lascia scampo, incisivo, diretto, vivido che asserisce la sua femminea corporeità con forza vitale. In conclusione questa plaquette è una raccolta di vita, con le sue innumerevoli sfaccettature, le sue emozioni, le sue pene; è poesia di occhi aperti che osservano, ma bevono gli istanti, i giorni, le stagioni, nello scorrere delle sensazioni. E allora per confermare questa vitalità dell’opera non basta che concludere con i versi dell’autrice della lirica iii: “apriamo la busta di pop corn/ e godiamoci/ nello spettacolo della vita”.

Rosanna Spezzati