*
sotto le nuvole l’azzurro, il ferro del paese
le corse per la muta, la peristalsi, è qui
che morde la primavera, agli inizi della conoscenza
(il vento sui piazzali
le facciate mosse da un transito di luce
quando la fame era già manifesta
e una corrente agitava i risvegli
poi la svolta di un’allegria
se dai corridoi esterni portano aria
schiudono gli spazi tra le parole
zitti riempiono di bianco la stanza
*
se anche cadesse lungo un versante
la tua distanza, tu conosceresti le storie sommesse
della pelle, il nascondersi della voce
(si abita il silenzio tra i palazzi,
il durare dei vasi sul balcone, è qui
che si elude il tempo in pause immobili
nella trasparenza del tetto di fronte
e poi si risale in superficie, alla scorza
*
ma che si apra alla cautela della lingua
quel tempo fermato alle pareti chiare
(l’uomo che siede al banco
incorniciato dalla vetrina, la linea sospesa
di una felicità che continua al di là delle case
l’insistere della pioggia
con dedizione di copista
rinfresco la notizia delle tue braccia
*
la verità entra col freddo, è terra aspra
riparo nella discesa, fugge (l’odore
di un’altra vigilia, di ferro lontano
vigne, cucine spalancate
fugge l’esatto
la pioggia sul sabato, l’impazienza del giorno prima
quando era chiaro e non potevi non sapere,
qui restano mura lucide, un filare muto
la luce netta davanti alle cose
ma parlerà
comunque, vento o respiro
dalla calma dell’assedio
nella cornice vuota dei risvegli
*
farla tua la leggerezza della fuga
la riconoscenza del rinunciare (trova soltanto
chi non cerca, e qualcuno qui sotto parla
di quando saranno liberi i locali, alza la voce,
di colpo è estate e si fa largo una lentezza
(i corridoi che affacciano sulla collina
gli infissi logori, il metallo insolito
di certi oggetti quotidiani,
ma è da sempre un oriente l’attesa di giugno,
e intanto hai provato il senso del diminuire
come farne una condizione, una forza
i passi accarezzano la terra, ascoltano,
tu stai di fronte alle spalle nude di questa discrezione
percorri la discesa o il sorriso, abbracci la tua fortuna
senza colpa: è stagione di altri tempi, arriverà
quello che dimentichi da settimane
ti sposti di lato, sei l’altro
e non ti perdoni
*
Roberto Ariagno, Il tempo di una muta, prefazione di Caterina Serra, Kurumuny, 2020

Roberto Ariagno è nato a Torino nel 1969 e risiede a Rivoli, dove lavora come insegnante nella scuola media. Tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo ha partecipato a diverse iniziative della città di Torino legate alla poesia. Nel 1994 una sua silloge di inediti viene segnalata al Premio Montale. Ha pubblicato i libri di poesia La sposa boreale (Book, 1997), con una nota di Giorgio Luzzi, Disarmare il nome (Italic, 2017) e Il tempo di una muta (Kurumuny, 2020). Suoi testi sono apparsi su riviste e blog. Si occupa di scrittura e produzione audiovisiva in una società indipendente che ha contribuito a fondare.