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materiali II

Chi riconosce l’aria della neve
porta guanti di cuoio alle mani
e si passa legna dietro casa,

non ci si dice molto perché
non c’è molto da dire, ogni volta
è come se ci inseguisse qualcosa

le macchine passano per strada
ma più veloci, più sole, trasparenti,
subito rientriamo, odore di polenta,

ci precede un vento che sappiamo
ha il sapore ferroso delle ferite, perché
senza dircelo lo aspettiamo.

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movimenti III

Quando riaprimmo il negozio era ancora tutto lì,
nessuno aveva consegnato i pantaloni accorciati, il vestito col tulle –

per mesi da dietro il magazzino
rumori di camicie scartate, la scala di alluminio che si sposta da sola –

mia madre prima di entrare dice mi tremano le gambe
la sento appoggiarsi a fare le poche scale, tutta bianca nell’estate.

Subito ci furono giorni di cose da fare, banche, assicurazioni,
e non una parola
                         come una spinta da dietro, da sotto le ascelle
ti porta, ti fa imparare alcune formule sempre buone:

esserci,
                         col fantasma che si aggira ovunque.

Tolto l’antifurto e accese le luci, tutto era ciò che era,
il negozio di una vita, gli dicevano
ci morirai qui dentro e invece no
è morto a casa, in bagno, mentre si lavava i denti

e non una parola.

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movimenti V
  
 I primi a soccorrermi furono i poeti, mentre corro o volo
 come in tanti sogni faccio salti lunghissimi e posso con niente
 raggiungerti,
                           io posso
  
 ma tu non muoverti, resta a casa, fai
 le cose che ci sono da fare, domani
 sarà un altro giorno lascialo andare,
 non interrompere il giro miserabile –
  
                               non esserti docile –
  
 col collo spezzato mi dicevo vedi
 non trovi in fondo a te una parola,
  
 ma a parlare con un morto
 perdi il pieno delle mani.

*
  
movimenti IX

Visto al centro della stanza pensai noi ci muoviamo,
qualcuno sussurrava qualcosa, piangeva, ma tutti erano soffio

il corpo invece diventa subito corpo estraneo, immondo, zia Bruna
senza pensieri aveva pulito tutto, sistemato tutto, senza pensieri,

semplici le persone uscendo dicono ci vediamo e si voltano, salutano,
era movimento quello che mancava a mio padre, ingranaggio,

mi tormentavano micro pulsazioni, lampi, imprevisti,
e di questi soprattutto le mani, ora stringono un crocifisso

ora le mie mani sono impronta delle sue, le cerco nei sogni
le sento ogni volta che le richiamo, quelle bianche non erano

più quelle di forza e coraggio, scelgo così di accarezzargli i capelli
cortissimi, come voleva fossero i miei, ma c’era troppo bene poi.

*

preghiera I

Padre, tu che ora sei infinito
hai chiuso col passato, noi

invece ti cerchiamo nei frammenti,
nella ripetizione di parole, e sempre

sembri una poesia. Padre, dammi la forza,
fuori c’è un vento un vento un vento

strabico, come i pensieri.

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Riccardo Frolloni, Corpo striato, prefazione di Stefano Colangelo, Industria & Letteratura, 2021

Riccardo Frolloni è nato nel 1993 a Macerata. Laureato in Italianistica, ha pubblicato la plaquette Languide istantanee Polaroid (Affinità Elettive, 2014) e Corpo striato (Industria & Letteratura, 2021). Ha tradotto Sul non perdere le ceneri di mio padre di Richard Harrison (‘roundmidnight edizioni, 2018) e Non praticare il cannibalismo, antologia dell’opera di Ron Padgett (Del Vecchio Editore, 2021). È stato direttore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e ha lavorato per la School of Continuing Studies dell’Università di Toronto come lettore e assistente. Scrive per la rivista musicale “Impatto Sonoro” e ha fondato il progetto “Lo Spazio Letterario”. Insegna italiano e latino nei licei.