Nicola Romano per «nutrica» di Daìta Martinez
Ecco, dopo le diverse pubblicazioni apparse negli ultimi anni, questa raccolta intitolata nutrica (LietoColle, 2019) di Daìta Martinez viene a consolidare in maniera inequivocabile – secondo me – sia l’originale forma espressiva dell’autrice e sia quei convincimenti che avevamo maturato nel tempo e che adesso trovano conferma, se non proprio un suggello, dentro il corposo materiale che tra effluvi di poesia e di prosa poetica riempie le centosessanta pagine del libro, strutturalmente diviso in tre dense sezioni.
Attraverso le immancabili conquiste e le immagini comunque nuove che provengono da una lettura che, ormai sappiamo bene, non ammette distrazione alcuna, le parole dell’autrice – sempre ispirata da un incedere di visioni molto incisive e talvolta pregne di ridondanza – sembrano scorrere sulle pagine con lo stesso fluire di acque chete ma fuggitive, parole che sembrano portare dietro dei magneti che poi daranno la possibilità a tali parole di potersi riconoscere fra di loro e, quindi, di potersi attrarre in base ad una sequenza di aggregazioni sicuramente più logiche, seppur meno oniriche.
Fra la recente raccolta «Il rumore del latte» (2019) e questo «nutrica» che sta ad indicare una “neonata” (avviata alla nutrizione), sarebbe da indagare un certo ribadito e sotteso pensiero rivolto al periodo infantile da parte della Martinez (nostalgia o occasioni mancate?), se “il bambino ha una/ seggiola e la voce/ sul cappotto della/ madre lieve canta/ ai vetri la pioggia”: tenere atmosfere che sembrano rimandare ai “Canti di Castelvecchio” del nostro Giovanni Pascoli.
E ritengo pure che in questa raccolta viene assicurata una delle tante funzioni della poesia se taluni percorsi espressivi conducono proficuamente verso probabili smarrimenti, e se quel che conta è che i versi sappiano evocare una tensione “altra” che possa portare, per strade diverse, ad una comunanza di trascendente poetico. Un altro importante elemento da annotare è il fatto che la Martinez sembra voglia dare – con apprezzabili risultati – una percezione estetica a tutto ciò che appartiene non solo al suo vissuto ma a tutto ciò che ha veramente “provato” e “scontato” dentro, come a voler dare preventivamente una specie di dimensione immaginifica a quel che magari verrà poi concettualizzato nell’auspicabile intesa tra la nostra autrice ed i suoi lettori.
Nicola Romano
quando ti sei accorta
del suono di girasole
il canestro ai sonagli
nel prato la dolcezza
di un bambino e non
sapere come si fa del
sole il volto arrossato
;
quando ti sei accorta
dei capelli accucciati
sulla schiena il fiume
nella notte non arresa
all’insonnia colata ai
balconi un silenzio è
nascosto sullo scialle
;
quando ti sei accorta
fioritura anche allora
un ciocco di grano la
cresima e il nastro di
perle a una filatura il
dolore che si spoglia
tazza di latte mi bevi