MAFFIA DELLA POESIA DICE

È la domanda più spinosa che poteva farmi, per una serie di motivi che ho cercato più volte di affrontare senza mai riuscire a sbrogliare la matassa dei pensieri e delle riflessioni.

Fin da quando ero ragazzo ho avuto un interesse quasi morboso per stabilire che cosa fosse la poesia anche per dare una risposta a mia madre che voleva convincermi di lasciare stare perché, da che mondo è mondo, la poesia non ha mai prodotto né frumento, né patate né pomodori o altro bene.

Ho raccolto centinaia di definizioni dei filosofi e dei poeti su che cos’è la poesia (decine di poesie sulla poesia tanto da pensare di farne un’antologia) e, sinceramente, mi sembrano tutte giuste, tutte perfette. La verità però la sintetizzo nelle parole di Sant’Agostino quando gli domandarono che cos’è il tempo e lui rispose che lo sapeva benissimo se non glielo chiedevano.

Una cosa è certa, la poesia porta, a chi la frequenta, alla Canoscenza, come la chiamava il Sommo, e mette nella condizione di rendere creature tutte le cose; crea un rapporto così stretto con i sentimenti e con le emozioni da illuminare anche le oscurità che spesso ci travagliano. Non produce beni visibili, ma rende uomini veri, con gli occhi sgombri, con l’animo sgombro. Naturalmente non parlo della poesia, che tale non è stata mai, sbandierata dagli avanguardisti di ogni specie che hanno affidato al gioco stupido la funzione della Parola, ma della Poesia che affida alla Parola la creazione. È la Parola che crea; non è casuale che in un libro da tutti esibito e citato e mai letto, l’incipit sia: “In principio era il Verbo”.

 

LA SUA POESIA CI DICE

Citerò tre testi presi a caso dalla mia ultima raccolta, Il suicidio, lo stupro e altre notizie (WhiteFly Press/Vague Edizioni 2020). Non è un modo di dire, proprio a caso, perché la compattezza del libro ha una sua vita difficile da smembrare, da bere a sorsi. La società liquida, come l’ha definita Zygmunt Bauman, non permette ormai neppure di pensare al Poema, ma io, cito da “Sette notti” di Jorge Luis Borges, sentendo “la poesia come sentiamo la vicinanza di una donna” e desiderando “vedere l’Ospite, l’amore”, e pensando “che la letteratura e la poesia siano processi eterni”, lontanissime da “la successione dei fatti”, credo ancora (che importa se fossi ormai l’unico ad essere in questa condizione) che la poesia debba essere un corpo con cui viaggiare, litigarsi, combattere, amoreggiare, confrontarsi e crescere insieme:

“mai che il conto torni, slievitata
si adagia nel consenso d’una foglia

snebulata da sé e dal cordoglio
e attestata su creste che non conoscono i rituali
e così si sbambaglia in ciurmose estasi
tra urli deviati e devianti

tra cupole! Sì, cupole sonanti
errabondi singulti basaglieschi”.


“solo la pazzia può avere pienezza di ragione,
il resto è disumano andare
per luoghi sconosciuti,
affrontare le diatribe inutili del piacere,
la sconfinata architettura della parola
che biascica e si dibatte nell’inerzia
del Paradiso Terrestre”.


“L’immobilità era la fase estrema,
ma lei ribadiva ch’era la prima, l’inizio, la certezza.
Non aveva torto.
L’importante è che adesso
non gema nella fossa,
non faccia prediche ai vermi,
non impartisca assoluzioni,
non sfogli il dizionario dei sofismi”.

Ho preso tre passi brevi, soltanto per dare l’idea dello stile, del linguaggio, della libertà assoluta dell’espressione, non catechizzata, non succube degli archetipi, non serva di abitudini ormai vuote e mansuete. La mia irriverenza punta soprattutto a cercare di dare la sveglia ai poeti che ancora cercano la metafora “carina e ben azzeccata”. La Poesia dev’essere interamente una metafora, non a tratti, non a bocconi. E ogni Parola deve centrare l’essenza di mondi in sommovimento, del farsi, del lievito necessario per mettere incinto l’Universo però fuori dai sofismi. Non sfogliare il dizionario dei sofismi!

 

DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA

Pier Paolo Pasolini. “La tua poesia sa di conoscenza, ha il sapore della Calabria antica e Dario fa bene a parlarne con entusiasmo, ammirato anche dalla tua cultura che gli sembra smisurata, anche se lui esagera sempre”.

Italo Calvino. “Ti ho letto con piacere scoprendo via via un poeta che sa essere elegante e forbito”.

Gesualdo Bufalino. “Ho parlato con Leonardo Sciascia per vedere di creare il caso Dante Maffia, anche con l’aiuto di Giampaolo Rugarli che ha proposto l’idea. Non so se riusciremo a farti amare e leggere, come sarebbe giusto, so però che vali davvero, se questo può consolarti”.

Leonardo Sciascia. “Mi fa piacere che tu abbia apprezzato i miei scritti sui poeti dialettali. Cose di gioventù… Per la tua poesia prima o poi verrà fuori qualcosa di buono, abbi fiducia… io sono convinto che tu sei uno dei grandi poeti di cui si parlerà molto; nelle tue parole c’è la carne viva di un Sud che non vuole restare nel guado e vuole liberarsi dalle ombre”.

Gregory Corso. “Mio nonno era calabrese come te, io dunque sono in parte calabrese, sono tuo parente, e ne sono orgoglioso. La generosità dei calabresi è famosa. Nella tua poesia leggo un pizzico d’anarchia che mi fa pensare che tu sei sulla strada giusta, anche se ti consiglio di uccidere i residui fantasmi del passato che di tanto in tanto ti preparano degli agguati, perché sono prepotenti e non ammettono le ragioni del rischio”.

Josif Brodskij. “Ho letto in viaggio, di ritorno dalla Sicilia (dove siamo stati molto bene, vero?) alcune tue poesie, aiutato anche da mia moglie. Mi ha colpito la tua solarità, la tua dovizia coloristica, la tua musica che sento tua e di nessun altro. Sono contento di averti conosciuto”.

 

MAFFIA E I POETI “INFLUENCERS”

Sono onnivoro, ma torno e ritorno all’”Odissea”, alle “Metamorfosi” di Ovidio, alla “Commedia”, alla “Gerusalemme Liberata” e alle “Rime” del Tasso, a Campanella, a Foscolo, a Saba, a Cardarelli, a Sinisgalli, a Gatto, a Baudelaire, a Frénaud, a Lorca, a Borges, a Marina Cvetaeva, senza trascurare i nuovissimi e le nuovissime: verifiche e confronti sono sempre necessari. Tuttavia devo confessare che leggo molti più narratori e saggisti anziché poeti: ovviamente i classici, ma con passione leggo Giambattista Basile, Musil, Sologub, Celine, Manuel Scorza, Miguel De Unamuno, Tahar Bel Jelloun, Yasunari Kawabata, Solgenitsin, Rulfo, Sterne, Cervantes, Buzzati, la Ortese, Bevilacqua (che trovo soprattutto un grande poeta). Mi sono fatto un piccolo angolo nella biblioteca in cui ho messo i cento autori prediletti, l’elenco sarebbe lungo.

Voglio specificare che non amo i narratori cerebrali, i ragionieri della scrittura o i fumisti, ma quelli che si fanno capire senza difficoltà. La linearità e la semplicità per me sono essenziali, sia in poesia e sia in narrativa. Umberto Saba diceva di trovare l’infinito nell’umiltà.

 

Dante Maffìa (1946) fu segnalato da Aldo Palazzeschi e da Leonardo Sciascia che, con Dario Bellezza, lo ritengono “uno dei più felici poeti dell’Italia moderna”. Giudizio condiviso anche da Magris, Bodei, Ferroni, Pontiggia, Brodskji, Vargas Llosa, Dario Fo, Borges. È tradotto in diciotto lingue. Ha vinto i premi: Montale, Gatto, Stresa, Viareggio, Alvaro, Matteotti, Camaiore, Tarquinia Cardarelli, Circe Sabaudia, Rhegium Julii, Alda Merini ed Eminescu.

Il Presidente della Repubblica Ciampi, nel 2004, lo ha insignito della Medaglia d’oro per Meriti Culturali. Il Consiglio Regionale della Calabria, le Fondazioni Spinelli, Guarasci, Farina, Di Liegro e Crocetta, e l’Università di Craiova (Romania), lo hanno candidato al Premio Nobel. Recente il volume degli Atti del Convegno tenutosi sulla sua opera, Ti presento Maffia, a cura di Rocco Paternostro, edito da Aracne (Roma). Ha ricevuto la Laurea Honoris Causa dalla Pontificia Università.