MIRELLA CRAPANZANO, La fragilità del bruco
Macabor Editore, novembre 2020
Freschissimo di stampa, l’ultimo libro di poesia pubblicato da Mirella Crapanzano, per i tipi dell’editore, di Francavilla Marittima, Macabor. Si tratta di un volumetto dallo sviluppo (quasi) poematico, ottimamente introdotto da Franca Alaimo, inserito nella Collana di Poesia “Quaderni di Macabor” (numero 20).
Nella stessa Collana nel mese di dicembre del 2018 (numero 11) è apparso il libro Come un bruco assetato di cielo di Marco Baiotto, con prefazione di Ivano Mugnaini. I due libri hanno molto in comune, a partire dalle premesse. Come ha scritto Mugnaini: «potremmo dire che l’uomo è quello stesso bruco che è a contatto costante con la terra ma sente, dentro di sé, la sete del cielo. La sfida è capire che l’uomo non perde la sua nobiltà se ammette di essere costituito dalla stessa materia di cui sono costituite le cellule del bruco. E con esse la possibilità di diventare farfalla, senza tuttavia smettere di far parte di un ciclo ampio, fascinoso e complesso. In tal modo il suolo e il cielo non saranno più estremi contrapposti ma un tutt’uno, un immenso organismo che respira all’unisono la lineare e misteriosa complessità e ricchezza dell’esistere». Inoltre, «“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”, ci ricorda la shakespeariana Tempesta. A questa verità che non cessa di risuonare nel vento del tempo, Baiotto aggiunge, senza porsi in contrasto, la genesi della consapevolezza, come lui stesso la definisce». Anche il libro di Mirella Crapanzano si pone in tale solco. Ella stessa dimostra di possedere tale consapevolezza, all’interno di un percorso spirituale ed esistenziale che non ammette distrazioni. E proprio la prima poesia (“della sostanza dei sogni”) ci riporta alle parole appena succitate di Shakespeare.
La poetessa reca nel suo animo la ferita di tutto ciò che è stato ferito e che ancora soffre. L’attenzione, quindi, verso ogni forma di vita è costante, e ogni cura possibile nei confronti del prossimo è per lei atto spontaneo. Tuttavia, è sempre necessario continuare a lavorare su sé stessi.
I compagni di viaggio più diversi non soltanto vivono accanto a noi o le loro esistenze ci sfiorano: il nostro e il loro è anche un unico respiro. E per poter davvero abitare gli spazi è necessario, attraversandoli, lasciarci anche da loro attraversare. Soprattutto quando ci troviamo immersi nella sacralità di un bosco, cui fanno ritorno gli animali, attratti dal suo mormorio.
Si possono vivere tante esperienze ed esistenze contemporaneamente (“esisto in storie immaginarie”, tra le poesie apparse anche ne “Il sarto di Ulm”, settembre-ottobre 2020), e persino nello sguardo di uno sconosciuto possiamo percepire qualcosa di familiare, avere la sensazione che ci si conosca almeno un po’.
Ogni cosa dispone di una propria sacralità ma di rado essa viene rispettata; ogni cosa potrebbe percepire il proprio battito vitale in una dimensione di pace e armonia, se soltanto di «un raggio di fluorite» si facesse un uso opportuno. Le diverse forme di vita vivono per se stesse e per le relazioni che possono instaurare, ma sono pure simbolo di qualcos’altro, e risultano tutte tenute assieme da un groviglio di fili invisibili.
La punteggiatura, in queste poesie di Mirella Crapanzano, è divenuta superflua, quindi è scomparsa, e con la sua sparizione si sono arricchiti anche i significati dei segmenti di poesia in movimento.
La parola è imperfetta e non deve uccidere il silenzio; occorre prestare attenzione alle parole non dette e anche a quanto non ha bisogno di parole, e al gesto che, istintivo o guidato dal pensiero, diviene poesia libera di vagare nell’aria che ci tiene in vita.
Gli stati d’animo altalenanti vengono catturati nello scorrere dei versi con delicatezza e acutezza di visione e una fantasia tutta femminile, ovvero con forza e coraggio, cercando la bellezza ovunque possa nascondersi («lo stupore di chi s’affaccia sul mare per l’ultima volta»).
L’autrice, che nella vita si occupa pure di arti pittoriche e visive, accende i versi di pennellate di colore inattese, li illumina creando sapienti scintillii che portano l’attenzione su quanto potrebbe, invece, passare inosservato. Ed ecco che ci svela “la malinconia del rosso”. E «all’improvviso la curva sottile / dell’aurora accarezza il frassino / poco distante in riva al lago noi / a nascondere spigoli con la / premura di chi cuce riconciliazioni / tra le tonalità di un sogno breve».
Il lettore troverà conforto in queste pagine, soprattutto perché vengono rappresentati, nei momenti più difficili, ovvero quando la perdita e il dolore del ricordo offuscano gli occhi e premono sul petto, come coincidenti, il vivere e il morire.
Animali e piante sono in primo piano quanto l’essere umano, e tutti insieme svolgono, ciascuno con le proprie peculiarità, un ruolo importante per la funzionalità complessiva, così Amalia, cui è dedicato il libro e una pagina di poesia, così l’airone che viene spesso avvistato nello stesso luogo, così le presenze più impensabili in fenditure nascoste.
Il libro lascia diversi messaggi importanti: in particolare, se solo si fosse disposti a cambiare un piccolo aspetto del nostro modo di essere, si potrebbero a volte fare incredibili conquiste.
I legami tra le specie vengono testimoniati dal «brulicare delle forme», che al lettore viene presentato come in un sogno, a partire dalla splendida immagine di copertina (opera della stessa Mirella Crapanzano, con elaborazione grafica di Giorgio Ferrarini).
Claudia Manuela Turco
dalla prefazione di Franca Alaimo: << La poesia di Mirella Crapanzano è un iter iniziatico. Uno strumento per approssimarsi fino al limite patito dall’animo umano nel governare lo slancio verso quel mistero indicibile dell’essere attraverso le porte sensoriali e le epifanie dell’immaginazione.
Per questo l’osservazione della realtà circostante, da cui si origina ogni testo della raccolta, viene dilatata fino a comprendere la vastità plurisimbolica di ogni elemento che immette il lettore in una sorta di spazio sacro >> …
abitarmi
aspettarmi
tenere indietro la parola il gesto
il piede sinistro che raggiunge
il destro in una pausa in un’attesa
che gira attorno a un asse il baricentro
sposta le ragioni ai sensi acuiti dal respiro
abitarmi come la prima volta
i polmoni che liberano in un grido l’aria
sono pelle bocca olfatto tatto coda antenne
ali per esplorare l’altro che si colora
d’improvviso arcobaleno ruvido al sentire
un fruscio di terra che ronza con il vento
e piove piove per riunire tutte le acque
al mare e poi aspettarmi ancora
riunire la coda ad un istinto
le antenne a percepire un suono
che arriva dall’abisso inconfondibile
del vuoto prendere possesso delle ali
non trascurare l’aria che le solleva
le correnti ascensionali accigliarsi
intorno a un nembo fecondo di intenzioni
azioni i passi uno dietro l’altro per fiutare
lo spazio intorno agli occhi chiusi
abitarmi è abitare una vertigine sospesa
su di un filo ricadermi tra le braccia dopo aver
assaporato la libertà dal corpo aspettarmi
fino a ricomporre il gesto che viene prima
della parola la mano che stringe un’altra
l’avvicinarsi piano entrare in uno spazio sacro
abbracciarsi sfiorare il volto con un bacio
mescolare il fiato aspettarmi sillabare le
parole come fossero nuove di significato
appena pronunciate all’inizio di una creazione
la libertà a ricomporre spazi che la paura
ha seminato e riappropriarsi della vita
*
angela
ora che so tra le fessure delle porte
nel tintinnio delle tazzine di caffè
nel cestino dove s’ingarbugliano
gomitoli di lana ferri di varie misure
le ricette dei tuoi dolci puntuali
spiando i piccoli gesti quotidiani
della bimba che ero mai uguale
forse a quella tua sperata ora che
so non ti nego l’amore ti riconosco
nei miei giorni una carta fiorita sui muri
che arrampica le sedie davanti al mare
l’indugiare delle cose tra le mani che
passano come le navi a segnare un limite
all’orizzonte le pieghe dentro agli occhi
eppure se ti penso sei ancora in
controluce le gambe accavallate
seduta su un gradino in calzoncini corti
a rompere la monotonia del giorno
col tuo sorriso scanzonato e pieno come
la felicità che attendi nonostante tutto
*
una partitura
una partitura il cielo con le ali
spiegate le nuvole intorno al
tramonto che allaga la sera
di gelsomini e lo stupore di chi
s’affaccia sul mare per l’ultima
volta e pensa che a scriverla
la solitudine si traccia un cerchio
un labirinto dove si può solo entrare
e sfilare la vita con un filo da ricamo
l’abitudine di navigare a vista ci rende
fragili come stelle lontane eppure
se ci soffermassimo come per caso
sul volto assorto incantato di un bambino
troveremmo la radice misteriosa della vita