Rinverdire la memoria di chi non ha più memoria (o, bene che vada, una scolorita memoria) tra i vivi è, oltre che un tributo risarcitorio, un atto di gentilezza. E’ come portare i fiori, e poi innaffiarli, a una tomba sperduta tra le tante in un vasto cimitero.
Da chi attendersi un gesto di gentilezza se non da un poeta? Ed è proprio a un poeta, Lucio Zinna (numerose le sue sillogi, apprezzate dai lettori più attenti), si deve la gentilezza di “Lettere siciliane”, un breve saggio pubblicato da Mimesis dedicato ad “Autori del Novecento dentro e fuori circuito” (il sottotitolo).
In verità il libro di Zinna – critico letterario di lunga esperienza, oltre che poeta – include anche “autori dentro circuito”, che ancora richiamano i riflettori di chi ha passione per la letteratura. Ma, nel contesto del saggio, gli “autori dentro circuito” costituiscono una minoranza. A volerli contare, sono solo due, ed entrambi poeti: Quasimodo e Ignazio Buttitta; e, peraltro, va notato che del Premio Nobel modicano è colto, nelle pagine di Zinna, un aspetto trascurato o non sufficientemente affrontato dalla critica: la dimensione religiosa della sua poesia; senza contare, inoltre, che Buttitta – come accade a tanti altri poeti dialettali in un Paese che, nel progressivo oblio delle sue radici, marginalizza i diletti – proprio noto non lo è, soprattutto fuori dall’isola.
Gli “autori fuori circuito” – tutti siciliani come i pochi “dentro circuito” -sono diversi, e fra di essi non mancano i poeti. A cominciare da quell’Orazio Napoli che, ci racconta Zinna, poco più che ventenne lasciò la sua Mazara del Vallo per trovare pane e fortuna – come allora, nei primi decenni del secolo scorso, e anche dopo, facevano in tanti – a Milano; e che nel centro da sempre più culturalmente vivace in Italia si mise in luce, lavorando con la Mondadori, scrivendo e pubblicando poesie dettate dalla nostalgia per i luoghi nativi, dall’irresistibile richiamo del mare e, soprattutto, da una pungente sensualità. Poeta essenziale come pochi, Napoli – di cui oggi si fa fatica a trovare i testi – diede vita, per Zinna, a una poesia “antiretorica…errmetizzante, non ermetica”. Per continuare con Castrense Crivello, poeta di Bagheria che aderì al futurismo e che, sempre animato da spirito innovativo, non esitò a far parte successivamente, negli anni ’70, del Gruppo Beta nato dalle “suggestioni” del Gruppo 63 (nel libro anche stralci di un’intervista televisiva al poeta che conobbe Marinetti realizzata dallo stesso Zinna).
Il riferimento al Gruppo 63 ci fa riflettere su un altro merito del saggio: l’avere richiamato e fatto rivivere il fervente dibattito culturale (e politico) che in Sicilia provocò quel movimento, tanto contraddittorio quanto fondamentale nella storia letteraria italiana, soprattutto sotto il versante del cosiddetto “sperimentalismo”. A seguito delle istanze, anche provocatorie, del Gruppo ’63, che come precisa Zinna nacque a Palermo nell’ambito dell’importante rassegna della “Settimana Internazionale di Nuova Musica” promossa dal barone Agnello, sorsero “la scuola di Palermo” di cui fecero parte Roberto Di Marco, Michele Perriera e Gaetano Testa, il già ricordato “Gruppo Beta”, e, in sua contrapposizione, l’Antigruppo, nonché tantissime riviste e cenacoli culturali.
Non solo poeti nel saggio di Zinna. Anche un filosofo e critico letterario siciliano d’adozione come Santino Caramella comunque legato alla poesia, i cui scritti, in linea con i dettami dell’estetica crociana e ancor più del De Sanctis, postulano la simbiosi tra forma e contenuto. E con lui un altro fedelissimo di Benedetto Croce, lo storico e umanista, controverso quanto geniale – troppo alieno ai conformismi per essere “accettato” dall’attuale omologato panorama editoriale – Virgilio Titone, di cui Zinna ci offre una felice disanima delle sue prove narrative.
Per ultimo segnaliamo (dulcis in fundo) un’autentica chicca, che apre il saggio: il carteggio tra Antonio Pizzuto e Salvatore Spinelli, nel quale colpisce, a parte la certosina ricerca negli archivi, la fraterna amicizia tra due letterati di ispirazione assai diversa che, nelle loro missive, si scambiano pareri sui loro scritti specchio di una contrapposta visione dell’arte creativa e non privi di reciproche critiche costruttive tali da incidere, pur nella difformità dei loro intendimenti letterari, sulla realizzazione delle loro opere.
Non è superfluo sottolineare che un saggio per “addetti ai lavori”, qual è “Lettere siciliane”, risulta di gradevole lettura anche a chi non ha molta dimestichezza con la letteratura: merito dell’autore, capace di ricostruire i contesti temporali e il loro “clima” con aneddoti e curiosità vari e, soprattutto, della sua scrittura, ancorché sorvegliata e tecnicamente impeccabile, scorrevole e chiara. Già, perché Galileo Galilei diceva: “Scrivere oscuro è dei più, chiaro di pochi”.
Antonino Cangemi