7 poemetti

“Siamo fatti degli stessi atomi
di una stella che cade.
Però possiamo solo ricordare.”

Franca Alaimo

I Sette poemetti di Franca Alaimo segnano una sorta di “epifania, “ossia di scoperta dell’esistenza che si accompagna alla constatazione della totale inadeguatezza degli strumenti consueti di interpretazione della realtà: “resto nuda su una tavoletta d’argilla/ cosparsa di sinuose investigazioni/ dopo essermi tolta la benda/ la cintura irta di chiodi, la corona di spine dal capo” (pag.9).
Si tratta di composizioni ricche di metafore, simboli, voli visionari, in una dimensione quasi onirica ma dilatano in senso metafisico e parlano per dare risposte illuminanti. Tuttavia, all’illuminazione che rivela la totale insensatezza dell’esistere, si accompagna la percezione e l’inizio di una superiore e paradossale consapevolezza: “nulla ha riparo/ se non nella vita stessa”.
L’ unica salvezza dunque sta nella riappropriazione da parte dell’uomo delle sue capacità immaginative e creative e nella riconquista della originaria libera dialettica tra i contrari, dalla quale può scaturire il ruolo salvifico della memoria, intesa come possibilità di recuperare frammenti del passato a cui attribuire un senso che illumini il presente: “Però possiamo solo ricordare” (pag.15).
In questi versi forse Franca Alaimo intende sintetizzare il senso del suo cammino esistenziale e poetico fino a ora compiuto. Tema dominante dell’opera è la fragilità giovanile e la struggente nostalgia di un’infanzia mitizzata, avvertita come lontananza appartenente alla memoria ed evocabile solo attraverso la magia del linguaggio.
La perfetta fusione tra l’io e la natura è resa possibile dalla dimensione del ricordo e si compie nella lontananza dell’infanzia siciliana. “O madre, nella tua lingua sconosciuta, / nella tua scomparsa gentile è il segreto:/ amore della memoria, / ti ascolto mentre parli/ con la voce luccicante della pioggia/ e mi aspergi con l’acqua del battesimo, / mio girasole sempre volto alla luce “ (pag.11).
Il lascito che la poetessa affida al lettore consiste in un atteggiamento di coerente e tenace difesa dei valori fondamentali della cultura e dell’uomo, costantemente riproposti attraverso una poesia protesa nello sforzo costante di indicare una via di salvezza dalla sofferenza e dalla violenza.
È singolare la capacità dell’autrice di suscitare immagini nella sua mente a colori, in movimento, sonore, generative di dialoghi e di storie sotto l’impulso visionario: ”Il cielo si apre come un occhio immenso/ Celeste. / io sono ancora qui. / La porta è aperta e sta entrando il tempo, / il tempo della vita che risorge” (pag. 21).
Dalle profondità dell’inconscio, concretizzate nell’immagine dell’occhio, sembra riemergere un volto a cui la Alaimo tenta di accostarsi invano, perché la distanza che la separa dal passato è ormai incolmabile: “Il vento dice che ha raccolto, / stravolto, mietuto, / il vento ci conosce tutti, / parla con lingue sapienti…/Come l’angelo di Klee/ non riesce a guardare che il passato:/ rovine su rovine”. (pag.25).
In questo suo essere in continuo movimento, in una sorta di viaggio dantesco, non è un caso se la Alaimo, utilizza l’angelo di Klee, nel “ritorno verso la mia favola iniziale”, e ancora “La bambina continuava a dirmi:/ apriti, lasciati penetrare dalle cose, abbandonati” (pag.27).
Ed è così che l’autrice nella sua “selva oscura”, concretizzazione del disorientamento e dello spaesamento tra due madri “…dopo la madre-rosa,/ ebbi la madre -spina,/ che mi consegnò alla solitudine,/ i ventricoli del cuore/ turbati da un fiume in piena di dolore” ( pag.28) insegue il fantasma del proprio desiderio incarnando perfettamente l’ideale kleeniano “guardiano sacro” della superiorità del brutto sul bello: “insegnarmi come lasciare/ poco a poco me stessa/ nel silenzio, come purificarmi” ( pag.29).
Alla base dei Sette poemetti che danno il titolo al libro, sta la fondamentale convinzione della poetessa “che di ogni cosa bisogna scrivere“ come mezzo di analisi e di ricerca del senso profondo di una realtà sempre più labirintica in un mondo in cui ciò che conta consiste in avvenimenti minutissimi attraverso processi millenari. “Oh care parole, /che vi affannate a pronunciarlo, / che sorgete dal suo centro di fuoco, / che soffrite di essere così poche/ di fronte a ciò che trabocca;/ e tuttavia scorrete come balsami, / così necessarie alla bellezza come le spine/ su cui si alza la rosa” (pag. 19).
Sul piano formale, la raccolta si distingue per le atmosfere oniriche, meditative e per il ricorso a un linguaggio ricco di analogie con le quali sembra trasporre in versi le atmosfere della pittura surrealistica. La tendenza a ricomporre le proprie lacerazioni interiori in una superiore armonia, in una strana gioia di vivere anche nel dolore rispecchiano l’essenza più profonda della poesia di Franca Alaimo: “La mia casa è aperta a tutti”.

Maria Allo