grazia.fotoA una mia silloge, pubblicata alcuni anni fa, diedi il titolo “Innesti”. In quell’immagine volli condensare l’idea che ho del fare poetico.
La poesia, come il taglio, la ferita dell’innesto, porta a un ripiegamento, anche doloroso, su noi stessi; permette allo sguardo di incurvarsi verso il territorio, fragile e oscuro, della memoria e dell’interiorità.
Innesto e poesia: pratiche che necessitano di tempi lunghi in silenzi e pause, in perseveranza e pazienza, nel coraggio dell’attesa e di un distacco dal mondo: un esercizio fondato sull’indugio, grazie al quale si compie una tacita metamorfosi che trascende la sofferenza, elaborandola, tramutandola in speranza, in un ribattezzamento nella luce: dall’incisione quell’elevarsi di un altro ramo, un nuovo fiore, un nuovo tipo di frutto. Il gemmare talvolta di una inattesa bellezza.
E tutto tacque. Eppure in quel tacere / s’avanzò nuovo inizio, così Rilke nei suoi Sonetti a Orfeo.
Captare un respiro, un suono, un movimento, una visione, una fuggevole sfumatura per poi tentare di trasferirla in una forma, in parola, in versi, che renda, in qualche modo e seppure parzialmente, testimonianza dell’indicibile.
Distacco dunque dal mondo ma anche ritorno al mondo: intima e disadorna voce che, dal profondo, piano risale rinnovata, fuoriesce per raggiungere altri orecchi, incrociare altri sguardi, altri cuori. E farsi dono.

Come s’azzittiscono
nel tuono gli sguardi
Gocciano nell’orecchio
una cento mille
stelle dalla clessidra degli dèi
Cieche vegliano le mani
l’erosa stirpe degli istanti

Non ha sosta la caduta

Ci si piega con un dito
a sorreggere
lo scivolato coraggio
tra calcinacci e sconcerto
i mucchi dei capelli strappati
le spoliazioni__

la sopravvissuta parola
poesia urna


.

*

Un gesto abbozzato
Una mano sul punto di scivolarsi
in carezza
Un mudra – un nonnulla

così imponderabilmente perfetto
così prossimo alla primula
quando dall’asfalto muta scaturisce
o da un pianto

*

Fino al divino d’una briciola
voglio scendermi
Proprio là –
nello spacco invincibile della fecondità
nel punto in cui l’attimo è arato dall’eterno

Là – disciolta
a quell’enzima d’amore
che la spiga dal cielo
non separa

essere lievito cantore


Grazia Frisina di origine siciliana, vive in Toscana. Ha insegnato Lettere nelle scuole superiori.
Le sue pubblicazioni: il romanzo A passi incerti (Mauro Pagliai Editore, 2009, finalista “Premio Firenze” 2009), il dramma poetico sulla Shoah Cenere e cielo (Carabba, 2015, rappresentato al museo della Deportazione di Prato), e Madri (Oedipus, 2018), prefazione di Marinella Perroni, (tre pièces su alcune donne del mondo biblico); le raccolte poetiche Foglie per maestrale (Il caso e il Vento, 2009), Questa mia bellezza senza legge (Sassoscritto, 2012), Innesti (Nomos Edizioni, 2016, opera vincitrice alla XVI ed. Contropremio Carver, 2018), Pietra su Pietra (Transeuropa, 2021); l’ultima silloge Avrei voluto scarnire il vento (Compagnia dei Santi Bevitori, 2022), una galleria di ritratti femminili tra mitologia e storia.
Ha ideato e curato i dialoghi poetici: Ricordi come raccoglievamo i narcisi sulla storia d’amore fra Sylvia Plath e Ted Hughes (presso la biblioteca San Giorgio, Pistoia 2015) e Il mare nel vento – Una voce dentro l’altra, sull’amore fra Elizabeth Barrett e Robert Browning (presso la casa-museo Guidi, Firenze 2017).