Non so niente della buona poesia e non so più nulla dei poeti, perché non riesco più a starci dietro, perché per giudicare bisognerebbe perlomeno conoscere. Ma in questa espansione infinita della necessità di parola emergono solo atteggiamenti che si possono in maniera raffazzonata associare a un testo.
Ho sempre pensato che anche se non si era poeti una cazzata scritta bene poteva anche capitare, e allora chiedimi come riconosco un poeta, perché della poesia oggi non è rimasto quasi niente.
Il problema del riconoscimento è troppo connesso alla forte pressione di tutto ciò che vuole farsi leggere, al punto che la poesia oggi è solo avvenimento senza conseguenze. Credo ci sia una fortissima responsabilità culturale in quello che ha per decenni permesso il fatto che la spinta dell’antipoetico facesse credere che tutto avrebbe potuto essere poesia. In questa spinta alla negazione, in cui è stato trascinato tutto il mondo dell’arte, si è preteso di trasformare tutto in estasi estetica, incrementando una conseguenza di eccesso di vanità. Come tutte le altre cose, il gusto è diventato un’escrescenza, effetto di un proliferare di generi che caratterizzavano l’impoetico e allontanavano il lettore che smarriva per strada gli strumenti di giudizio, se di giudizio è sensato parlare, per orientarsi.
La pancia è rimasta come unico arbitro per stabilire delle affinità: questa è la poesia del maalox, quella costretta a fidarsi del disturbo. La poesia istintiva che si riconosce per educazione sentimentale mi mette tristezza, questa nostalgia empatica che sembra diventato l’unico metro di lettura mi avvilisce.
Come riconosco una buona poesia vuol dire sapere come si riconosce un incontro; e anche se questo vale per tutta la letteratura, il “vieni qui” a cui la poesia ci chiama meriterebbe di essere ascoltato sinesteticamente. Sinestesia come contaminazione dei sensi, unico strumento per una percezione dell’accadimento poesia, perché questo occorre sempre tener presente: una buona poesia è un accadimento, un incedere del presente.
La poesia dove non si scorge un Dio che nasce mi interessa poco. Nella mia concezione di poesia esiste sempre un volto che irrompe verso l’io; in questa irruenza scorgo anche epidermicamente quella che per me potrebbe diventare buona poesia, perché un testo non è mai buono subito, si forma nel riconoscimento. Basterebbe forse cercare di azzerare la distanza tra il dispositivo e la domanda, invece, spesso, la poesia contemporanea vorrebbe ridurre lo spazio tra il volto e il nome.
Una buona poesia è uno spiazzamento comunicativo, non una forzata risemantizzazione. Credo che sotto certi aspetti la poesia vada istigata a rivelarsi, a darsi nei suoi sapori. E forse è arrivato il tempo di smettere con questa lingua da centrifuga, per tornare al punto zero dell’immagine, a parlare di pelle e di odore di scrittura
Ai tavoli degli
apericene riproduzioni rozze è stucchevoli, come scarabocchi
durante l’ora di disegno, posture, messe in posa tra olive e salatini
discorsi già sfuggiti appena pronunciati chiacchiere di un forno
scaldato e di
tovagliolini appallottolati, il rumore di un silenzio imbarazzante,
tutto il ridicolo del precoce senza talento, il vuoto da riempire è
l’unica cosa dentro.
*
Chiamami così che resti sino
all’ultimo istante di presente il mio
nome che svanirà nel niente
*
Chissà dove ho messo le istruzioni.
Spegni un promemoria annotti tutto l’amore che non ti basta
cerco le viti ho la mano che non fa la cosa giusta
e tu che non bevi: sorseggi mi dai qualche indicazione per montare
quello che ti ho tolto
Alessandro Assiri nasce a Bologna nel 1962, vive tra Trento, Bologna e Parigi. Si occupa a vario titolo di letteratura e progetti culturali per editori italiani e francesi. Collabora con riviste letterarie cartacee e telematiche italiane e francesi. Ha pubblicato in poesia: Morgana e le nuvole (2004), Il giardino dei pensieri recisi (2006), Modulazione dell’empietà (2007), Quaderni dell’impostura (2008), La stanza delle poche righe (2010), Cronache della città parallela (2011), In tempi ormai vicini (2012), Appunti di un falegname senza amici (2013), Lo sciancato e Caterina (2014), Lettere a D. (2016), Ontologia della Maddalena (2018), L’anno in cui finì Carosello (2019), Come (Lietocolle/Ronzani Editore, 2022).
Come salvare la poesia dai poeti con Serse Cardellini Thauma edizioni 2015 (saggio breve)