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La stessa di allora

È tornare a casa
al tempo del latte tiepido
dell’odore di dolci sfornati
da poco, assaggiare il tuo corpo
il passato che riposa sulle tue spalle,
il presente che cresce smisurato
lungo il tuo collo, sul petto
e ancora all’origine di tutto l’oblio

quando mi chiedo dove sono stata,
per quali vicoli ciechi ho perduto
la mappa delle tue mani,
tu mi tieni più forte più dentro
al ricordo di noi, un carillon ballerina
rivolto lo sguardo, il baricentro ruoto
con tutte le forze verso il futuro che
nascondi dove il polso è più crudo

sono la stessa di allora
busso ancora alla porta
col fiato corto in attesa:
lasciami entrare, ho bisogno
di una carezza di lana
del tuo silenzio accogliente
delle tue braccia, voglio crederle
eterne confonderle con le mie vene,
non distinguere i giorni, il prima
dal dopo, mentre perdo il mio nome
te lo regalo, non mi serve
sono nuda appena nata
solo vagiti e spavento
quando mi lasci a me stessa
(e il piacere è un presagio
di culla prima di sentire freddo).

 

Bambina di carta

In sogno la casa di mia nonna è identica
in ogni dettaglio alla mia, il tempo è
quello immobile dell’infanzia, quasi
eterno, è estate, un cono di luce segna
la porzione di spazio che in gioco abito.
Sto facendo la mamma, ho una bambola
vestita di bianco tra le braccia stretta,
l’accarezzo e intanto spio il disco
dell’orologio, ancora non leggo le ore,
ma le attese hanno già radici a uncino
e si arrampicano su per i polsi fino
alle labbra, fino alla parola mamma,
che resta senza voce. Racconto
un segreto a un orecchio di plastica,
lo sai mantenere, vero? mia madre
non mi vuole più bene, domenica
ha disegnato su un foglio sottile
una bambina dagli occhi grandi
neri e nella mano due margherite,
allora le ho chiesto sono io? le somiglio?
ma la risposta è scivolata per terra,
è colpa mia, che non so colorare
ho macchiato la faccia della bambina
di rosso e allora mia madre ha detto piano
non te ne disegnerò un’altra, mai più

non importa, ho pensato al risveglio,
mi guarderò allo specchio per inventare
il mio volto di nuovo, inventerò
una bambina di carta solo per me,
porterò il suo nome e il mio, e nella mano
l’addio che non ci siamo mai dette.

 

 

Tutte le stagioni

Tutte le stagioni in una metà di giorno,
il freddo dell’incontro che si scioglie
sotto una pioggia di intenzioni, il cielo
sbiadito piano che si sfrangia grigio perla
tra le voci dei motori e un cerotto
come una foglia arrossata che tieni
tra le dita – te l’ho stretto troppo forte
per chiudere al mio sguardo la tua pelle
così esposta -, lo sbocciare inquieto
di ogni nostro passo che converge inevitabile
al mio fianco o al tuo e ancora il sole caldo
che fa capolino sulla faccia (mi viene
incontro tra i saltelli allegri di un bambino
mano nella mano al nonno, con i capelli freschi
di barbiere), le tue parole e le mie, questa
fede cieca che mi porto addosso e
non ti so spiegare: la bellezza, vedi, è esserci
una mattina come questa, lungo una strada
di periferia che poi diventa un’isola di tavolini
la copia identica di un bistrot francese, guardare
altrove dentro ogni cosa, immaginare che
non conti niente la gabbia di realtà in cui
restiamo immobili, in una metà di giorno
come questa credere possibile che ogni
desiderio attraversi la litania a memoria
delle stagioni, e poi riporre in un angolo di occhi
tutti quei silenzi che se potessero, sapessi,
vivrebbero la vita fino in fondo, invece
di provare a scriverla per inventarsi un esito
che non sia la corsa trattenuta in direzione opposta

la sicurezza che domani piova anche se c’è il sole.

 

 

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