Spesso e volentieri, in limiti di tempo pomeridiani, capitava che nelle biblioteche e nelle librerie sostassi a sfogliare alcuni libri. Assente o sconosciuto rimaneva l’autore dei testi in prosa da me aperti, erano elogi della tecnica, delle vicende, dei personaggi, ma non dello scrittore. Invece con la poesia, incastonata dietro il gioco della fonetica, della metafora e della metrica, si presentava ben definito l’uomo o la donna che le avessero scritte; credo in fondo che tutta la poesia sia la più vasta, eterea e tutt’oggi in crescendo raccolta di confessioni mai fatta, confessioni che neppure noi che le scriviamo abbiamo il coraggio di farle a noi stessi e le regaliamo al mondo, con l’immediato fine di farcisi comprendere, senza successo. Tali testi, incollati sulla carta, rimangono le bussole più efficaci per la ricerca di noi stessi, dei fotogrammi in bianco nero che ci dicono tutt’oggi chi siamo, persino dopo che gli anni hanno reso gli specchi irriconoscibili. E nella sua minuscola magnificenza
la poesia è il mezzo più veloce per ricondurci ala nostra umanità, oltre la tecnica, il lessico e lo studio, rimane un organo non definito del nostro spirito capace per tutti, di dire chi siamo, di raccontare dei nostri amori, delle nostre solitudini e di raccogliere nel vuoto suono di alcune sillabe personali significati che non basterebbe una vita ad esprimerne il peso.
L’eco del desiderio
I grilli di luce
non solleticano più
il giorno morente;
ed il sole, miope ormai,
si tuffa nelle lacrime,
provando a salvare quel
poco di felice sofferenza
su cui galleggiare.
Migliaia di falsi specchi
tediano ogni giorno
le mie incapacità.
Poi, piano ho affermato
i miei passi di ghiaccio,
rompendo i cristalli dei miei silenzi.
Tra le mani stringo solo
questa povera emozione
che mi appartiene,
accartocciata, morente,
ma seppur poca,
almeno una, me ne rimane.
*
La muffa sulla parete
Le sigarette piegate.
Le luci umide grigie.
Il semaforo oltre la porta,
sembra voler dettare il ritmo,
anche qua ove non ha forza.
La culla dismessa,
e sul terrazzo,
le profumate erbe
spirano tra le sigarette a metà.
Il giorno è quieto,
il cielo gentile,
e le ore brevi.
Giulia riposa,
mancami la forza
per abbracciarti.
*
Vedrai un giorno,
anche se non spero,
il male che mi inghiotte,
e riderai di quanto stupido
fosse tuo padre,
che per inganno della natura
la felicità, non si è mai concesso.
Pietro Edoardo Mallegni è nato a Carrara il 1 luglio 1995. Fin da piccolo nutre due grandi passioni: la cucina e la scrittura, amori che lo porteranno a intraprendere professionalmente la strada del cuoco e più marginalmente quella dell’appassionato scrittore di poesie. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice
“ Marco del Bucchia” la sua prima raccolta:“ Il dedalo in me”, e vince il premio “Michele Mazzella” con l’atto unico “Geshua e il crollo dell’io”, nel 2015 pubblica un altra raccolta intitolata “Il Dio Dada” e si avvicina al movimento poetico-artistico italiano “dinanimismo” guidato e fondato da Zairo Ferrante.
Dopo la maturità viaggia molto per lavoro e nel 2017, diventa padre, così decide di tornare a vivere nella sua città, Massa, con la sua famiglia.
Nel trascorrere di questi anni ha l’occasione di partecipare a diverse antologie curate da Ivan Pozzoni per la casa editrice “ Limina Mentis”.
Tra il 2019 e il 2020, ottiene alcuni riconoscimenti tra i quali “Menzione al merito per il concorso Internazionale di Poesia Fëdor Dostoevskij” ed è “Poeta Finalista del Concorso Internazionale di Poesia Il Federiciano”; in più pubblica due raccolte di poesia intitolate “Neurocidio” e “Il nulla”, rispettivamente pubblicate con le case editrici “Limina Mentis” ed “Europa Edizioni”.