Nacqui e furono schizzi di sangue
gettati sui piedi,
e grida di ventre e tormenti
di sciara tagliente,
fatica e pianto di cenere sparsa.
Con disìu di seno, Madre, a te
mi sono aggrappata.

***

Come il malamore che spezza le ali
al verso poco accarezzato di cui l’eco
si sentiva tiepida ed era un pianto
lacrima di corteccia rivelando gli anni
come mercurio creando afasia
era silenziosa e martellava il corpo
senza liberare i pori dal male
per sentire il sangue dei chiodi
scivolare sulla croce a lei destinata.
E venne la stanchezza e venne la sete
nell’anima deformata dal peso
scavando il corpo fu spremuto
e la mente ribattezzata

***

Lei, quando scioglie i capelli
neri in aria d’amore
e le pieghe sotto gli occhi
specchiano frammenti di vento
quando in gabbia ama
ed è stanca
le crepe sulle labbra tacciono
e si rialza
lei, cavità ardente (pesco in ore)
a raggiera poi agguanta
le esplosioni multiple
lei, la musa di tutte le ragioni e gli impulsi
radice succulenta che ingravida l’aria.

***

Conosco bene il ventre io
quando affondo la mano
nei significati di un suono.
Nel tempo dell’immediatezza
del semplice accoppiato
al delirio si muove
ma muore
nella solitudine delle frasi brevi.

***

Fu feroce l’addio
nel cuore senza dimora:
sapevi
che più non saresti tornato
all’altare dei fanciulli,
all’odore degli amanti,
al rumore delle case
di una terra incatenata.

***

Quando nascevo ero uno stelo
tenuto appena dalla terra,
difficili erano i getti d’aria
il gambo strozzato bramava la luce.
-Vivi sannunca morte – sentenziò Dio
strappai la carne, affondai nelle zolle
e niente fu al posto giusto,
il sangue dissetava il tronco freddo
la rosa selvatica cresceva nei tratti
la linfa all’aria fredda dei ori di gelo
nutriva i nervi e si allungavano i tendini
per far nascere presto le corolle.

***

Non sai quanto mare fanno le parole,
se mi bagni e m’asciughi, tu non sai
i frammenti dal fondo
che i remi si fermano, al largo
la barca non abborda.

***

Sciara, sciara tu sei
che i piedi miei scalzi
si tagghianu
sentendo a to’ vuci.
Bucchitta china di tormenti
un boato di guerra sei
ma l’amore tuo
mi pigghia
all’úmmira dei pini
mi fa fimmina saziata.


Estratto delle note introduttive di Antonio Bux.

[…] È dunque una poesia del riconoscersi terra, una poesia che invoca quell’essere femmina gravida che dona vita e morte come fosse tutto un solo legame, come se nello scrivere versi ci si ritrovi a fare i conti con un messaggio ultraterreno che pare voler insinuare nel poeta tutto un codice primordiale ed etereo, quasi a dire a chi legge che l’amore è l’unico sentimento capace al tempo stesso di elevare così come di annientare l’essere che ama, essere che però forse ama proprio per non sparire mai per davvero, così da farsi testimone affollato della vastità dell’amore che fonda tutta l’esperienza umana e forse anche quella di un oltre che è dopo questa nostra vita.


Rossana Nicotra è nata in Sicilia, alle pendici dell’Etna, nel 1981. Vive in Piemonte ed è un’insegnante.
Ha pubblicato la silloge Sciara Tagliente per RP Libri Editore, nella collana curata dal poeta Antonio Bux. La raccolta ha ottenuto recensioni a firma di Federico Preziosi, Sebastiano Adernò e Giovanni Sepe.
Rossana è stata ospite in salotti letterari e in trasmissioni come quella di Giuseppe Cerbino e Federico Preziosi; alcune sue poesie sono presenti in antologie e apparse su blog come Readaction Magazine e Bibbia d’Asfalto, e su diverse riviste, tra cui Avamposto. Suoi componimenti sono stati tradotti in spagnolo e pubblicati sulla rivista internazionale Centro Cultural Tina Modotti. Con la raccolta inedita Dei semi di Mintaka è finalista nella sezione poesia, nell’ambito della XXII edizione del Premio InediTo – Colline di Torino.