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Accingendomi a preparare questa presentazione, ho avuto modo di leggere in rete alcuni interventi sulla poesia di Umeed Ali, nei quali il dato che viene immediatamente sottolineato sulla personalità del poeta è la sua semplicità. Così racconta il suo incontro con Umeed Costanza Sciubba Caniglia, responsabile esteri di Eccellenzeitaliane.it:

“Succede che un giorno, all’interno delle nostre vite frenetiche, della nostra depressione latente, della speranza ormai scomparsa in quest’Europa fiaccata dalla crisi, si spalanchi uno spiraglio di possibilità. Una prospettiva diversa dal consueto, una porta socchiusa su un mondo parallelo di bellezza semplice e non artefatta. Succede che un giorno, per caso, … appaia improvvisamente Alì Umeed, viandante poeta pakistano e che riesca, con la forza della sua semplicità, a conquistare tutti.”

Risuonavano nella mia mente queste parole quando ho letto e riletto questo libro di Umeed Ali, e quando infine ho avuto il piacere di incontrarlo. E ho compreso che questa sua semplicità, che è vera e che traspare in ogni suo atto e in ogni sua parola, è in realtà il distillato che emerge da una notevole profondità di pensiero e dalle sedimentazioni successive di una antichissima cultura. E per comprenderlo basta considerare la qualità dei temi che egli tratta nelle sue poesie.

Il titolo stesso di questo libro scritto in lingua italiana, “Bilancio interiore”, che è il titolo di una delle poesie incluse nel volume, è indice della serietà dei temi affrontati, che uniscono in un unico amalgama accenti intimistici e sguardi accorati sul sistema sociale.

Prima di tutto, il valore della dignità umana, da preservare faticosamente in una società materialistica che crea povertà ad ogni passo e impedisce alla bellezza della vita di esprimersi compiutamente. Così esterna la sua esperienza in giro per il mondo:

I miei sentimenti sono stati usurpati
nella mia patria.
Lo stesso dolore sto provando in un’altra terra.

Ma afferma al tempo stesso la sua volontà e capacità di resistere, quasi come un dato naturale:

Non riesco a far nulla di male
né mai lo farò.
Perché sono nato così.

E ancora, nella poesia intitolata Alberi:

Essere altruisti
Come alberi
Che soffrono sotto il sole
E fanno ombra sugli altri.

E infine due versi che raccontano tutta la sua storia:

Indosso sempre un vestito pulito
Anche se è strappato come i miei desideri.

Umeed ha condotto e conduce una vita difficile e faticosa, prima in patria, che non ha mai smesso di amare ma di cui condanna senza attenuanti l’estrema violenza quotidiana e la scarsa considerazione del valore della vita, poi da circa venticinque anni in Italia, da Palermo a Milano, ma in maniera particolare in Umbria, percorrendo molte strade e vendendo oggettini insieme, quando possibile, ai suoi libri. In questo peregrinare si sono sviluppati gli altri suoi temi.

Fra questi dominante è il tema dell’amarezza della solitudine, strettamente connesso a quelli dell’amore e della diversità. Umeed canta ripetutamente con dolcezza amori che egli stesso definisce impossibili, amori unilaterali dalla cui descrizione traspare spesso, anche se solo talvolta viene esplicitato, il dramma della diversità razziale:

… le nostre vite
sono come due lontane spiagge
che non potranno mai avvicinarsi.

E poi:

Come mai c’è sempre una questione di colore?
Quando siamo uguali. Tutti quanti.

Ma con saggezza afferma la sua capacità di resistenza:

Sto trovando per il cuore una cura,
la vita è bella lo stesso, anche se è molto dura.

Ma l’amore è senza condizioni:

Ho paura però
di far parlare il mio cuore:
mi basta soltanto la sua conoscenza.

E nelle descrizioni si coglie persino un’eco del nostro Rinascimento:

Quando tu parli cadono i fiori dalla bocca.

Mai disgiunti dai sentimenti, vi sono i temi sociali e civili, che Umeed sente profondamente nella pelle. Il poeta parte da una religiosità fortemente vissuta nell’intimo che poi esplode anche in una veemente invettiva contro la guerra e sempre in difesa di una bistrattata dignità umana continuamente insidiata dalla povertà, declinata nelle diverse latitudini delle terre d’origine e di un’Europa sempre più caratterizzata dalla polarizzazione della ricchezza e quindi da forti differenze sociali e conseguenti tensioni. È la difesa dell’essere umano nella sua interezza il valore di base su cui fondare la considerazione della vita e i propri stessi comportamenti.

Il rapporto di Umeed con l’Italia si rivela forte e tenace, fino a convincerlo a scrivere le proprie poesie in lingua italiana. È evidente che per un poeta esprimersi in una lingua che non è quella originaria è un’esperienza straniante, che toglie ogni ancora di sicurezza lasciandolo solo in balia di onde non sempre conosciute. Il poeta esprime il suo rapporto con la lingua italiana in quella che è forse una delle più belle poesie del volume.

Quando ho iniziato a scrivere in italiano
sono diventato un acrobata delle parole
perché la lingua italiana è come il mare,
ti allontani dalla riva e diventa
profonda e alta.

In questi versi non si esprime, a mio parere, soltanto lo straniamento che deriva dallo scrivere poesie in una lingua che non è la propria, ma anche un apprezzamento per la complessità e la profondità di significati che la storia della lingua italiana ha sedimentato in ogni sua parola. A Umeed “manca sempre qualche parola giusta”, ma la prova viene superata con la fiducia:

ma quando finiscono queste lontananze, di lingua e di colore,
siamo tutti vicinissimi.

E ancora:

Il mondo è come un bel libro
e il tempo è il miglior maestro:
volendo, si può imparare quasi tutto.

Ancora una volta è la semplicità che vince. E torniamo quindi al nostro discorso iniziale. Dietro la semplicità di Umeed c’è un dato culturale che spesso ci sfugge e che è proprio di un’area del mondo che ancora non conosciamo bene. Tuttavia, a mano a mano che la nostra società diviene sempre più multietnica non potrà che entrare nella nostra immediata comprensione. Dietro quella semplicità di espressione, c’è in realtà una saggezza profonda e al tempo stesso così evidente da stordire il nostro sentire occidentale, abituato ad elaborazioni di pensiero apparentemente più complesse. C’è in una parola la sublimazione di una millenaria civiltà.

Osservava qualche giorno fa Piero Ottone che le due civiltà che si stanno incontrando e spesso anche ferocemente scontrando in questo secolo sono entrambe civiltà in declino. Questo rende l’incontro/scontro più drammatico e allo stesso tempo più incomprensibile. Tutte le occasioni, le circostanze, gli eventi, che siano capaci, sia pure nella durezza di questa epoca, di creare empatia e di favorire quindi la comprensione, sono certamente benvenuti. Ma, per essere efficaci, devono fondarsi sulla riscoperta dei valori. Nella sua semplicità, Umeed Ali è portatore dei valori della religione islamica, della cultura pakistana e indiana e di quella europea e in particolare italiana, della quale fa ormai parte a pieno titolo.

Con un po’ di ottimismo possiamo forse sperare che da questo così problematico incontro/scontro di culture e di identità diverse possa nascere e progredire nel tempo una nuova civiltà.

Biagio Balistreri

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Umeed Alì è nato a Khushab, nella regione del Punjab, in Pakistan, nell’anno 1961. Un suo poema, dedicato alla figura dell’uomo politico Zulfiqar Alì Bhutto (ex primo ministro ucciso durante un regime passato, padre dell’ex premier Benazir Bhutto, uccisa a sua volta nel 2007), è stato presentato presso l’ambasciata pakistana in Roma nel 1989, alla presenza dell’ex ministro Begum Nusrat Bhutto. Vive in Italia da più di vent’anni. dal 1995 ha cominciato a scrivere in italiano.
Bilancio interiore, Morlacchi Editore – Perugia – 2014, è alla sua seconda edizione.

Biagio Balistreri è nato a Roma ma vive da oltre venticinque anni a Palermo.
Ha pubblicato: Respiro l’aria del Sud (I Testi, Lacaita Ed. Manduria, 1980) segnalato al Premio Viareggio – Opera Prima e al Premio Vallombrosa e vincitore del Premio Campofranco 1981; Generazioni (I Testi, Lacaita Ed. Manduria, 1985) e Tracce (Arnaldo Lombardi Ed. Siracusa, 1988).
Un suo racconto “il ficus di piazza Marina” è stato pubblicato in Raccontiamo Palermo – Nuova Ipsa Ed. Palermo, 1997.
Il fabbricante di parole (Spazio Cultura Edizioni, Palermo, 2013) è il suo ultimo lavoro poetico.
Giornalista pubblicista, sue poesie, racconti, interventi critici e interviste sono apparsi su numerose riviste.
Con un suo omaggio a Renato Guttuso è presente nel Catalogo della mostra del pittore, organizzata dalla Provincia di Siracusa nel 2001.