Capogatto di Emilia Barbato puntoacapo CollezioneLetteraria, 2016
Capogatto
di Emilia Barbato
puntoacapo CollezioneLetteraria

nota Daìta Martinez

Lei: “Questa sua origine di vuoto / che lentamente si occupa / che è lo spazio di una stanza / dove noi iniziamo” e che recinge di parola il respiro breve dei minuti, come una citazione accorta nel corso di una conversazione rivolta all’essenziale di una risposta affidata a una domanda che si conserva perché, quando una pagina è chiusa, è una grazia esistere nell’intera scenografia del verso che modella il volto di una pellicola mentre le luci vengono regolate su “curve bianche, morbide, senza testa” nel momento esatto che fugge il ritorno tornando a “una poesia che lui le scrive”.
È “un momento privatissimo” il montaggio di una scena, di un amore, di lei che si fa figurazione narrante, narrata nel luogo dell’attesa immobile e dentro la scadenza degli oggetti che poi non scadono e insistono solitudine nei legami o nella riva di una sordida noia.
Emilia Barbato intaglia lo sguardo carnale tra i vestiti e il cuore quasi reazione a un’immagine o piuttosto a immagini contro il rialzo di “un film impossibile” senza sonoro “un dejà vu di mani convulse, mani che finiscono e poi riprendono, movimenti imprecisi, come quelli di sua madre” , l’altra lei alla quale si ancora e si continua valicando le stagioni che pur sperimentano il corpo tra i fiocchi di strada, embrionale inversione (dis) attesa alla ricorrenza del padre: “deve trattarsi / necessariamente di una perdita, / una fuga progressiva / della materia, dei ricordi, degli sguardi, del tono / caldo della voce. / Dove sei?”.
Il poeta s’interroga fintanto che fa irruzione l’analitica ripetizione dei gesti, delle maschere avvenute, di un santuario in cui farsi richiamo per non smarrire la cinematica ingerenza in cui comincia a nutrirsi di mancato equilibrio il sussulto dei passi, il picchiettio dell’accento che frana, una spaccatura prima di fondare la sfumatura sulla bocca che “è un’allucinazione dolorosa” lo scandire discosto sino a quelle “tredici miti settimane” diluite nelle acque dal segno visivo di un fiume discorsivo e di un intervallo che si vorrebbe schiuso alla bellezza di un giorno probabilmente insito nel frumento degli occhi in movimento tra i tratti svincolati in un pensabile battezzato senza omissione osando e atterrando l’urgenza della riflessione amante – amata alle fauci del sogno dove “le braci della sigaretta / che tieni tra le dita, è un atto / consecutivo, una terra proibita”.

Assedio

L’assedio
è un rosaio intricato
di pensieri, il turbamento
di un umido equivoco nella bocca.

Appunto di una ripetizione

Soltanto come muovi la bocca,
come la lingua, il corpo,
come contengono le mani,
come filtra la luce,
come i vestiti restano
vuoti e i tacchi dimenticano
l’equilibrio, come la finestra
resti a guardare e il mobilio
ad arredare, come fuori
tutto sia uguale,
come i giorni, come gli impegni,
come si riesca ad annullare.

amore lento

Ora che comprendo le cose
taciute, lontane, le sotterranee
combustioni, i segni,
tutte le vie praticabili
per te, amore lento,
amore inviolabile,
ti alleno tra le cose
pigramente propizie,
la pipa, il tabacco nella scatola,
le liquirizie alla viola, la maniera calma
della luce di cadere
tra i tagli dei libri, di testa, di piede.

 

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