GIORGIO GALLI DELLA POESIA DICE

Come diceva Zanzotto, la poesia è un fatto che accade, mai un commento ad un fatto che accade. Se non poteva essere detto altrimenti, allora è poesia. Io non so se so dare questa forza alle parole: non so quindi se sono un poeta. Forse le mie poesie possono esser dette in altri modi. Oggi si dice che le parole non hanno più spazio. Non è vero. E’ una bugia. Di parole ce ne sono fin troppe. Siamo sommersi dalle parole, inondati da parole che spesso non significano niente. La gente non è più disposta ad abbandonarsi alle parole. Anche i poeti si sono fatti più smaliziati, non hanno più quella fiducia assoluta nel proprio mezzo d’espressione. La sfida di ogni poesia, che è dire con la parola quello che la parola non sa dire, che è fare della parola una cosa mentre la parola, per sua natura, può solo girare intorno alle cose, quella sfida non è più possibile. Un poeta di oggi è un post-poeta e fa della post-poesia. Szymborska lo ha detto, con la sua grazia sovrana, negli ultimi tre versi di Fotografia dell’11 settembre: “Solo due cose posso fare per loro [le vittime della strage] / descrivere quel volo / senza aggiungere l’ultima frase”. Il poeta contemporaneo si arresta proprio dove il suo collega antico e moderno avrebbero cominciato: dinanzi al mistero della morte.

LA SUA POESIA CI DICE

Le strade del mondo

Chiunque Tu sia, Adonai
E ovunque il Tuo letto di morte
Guardaci sporchi di sabbia
Il sole ci cuoce addosso la pioggia
Qualunque strada, o Lord
Qualunque polveriera
Ci conduce allo stesso posto
A tappe forzate, in catene
Ci conduce allo stesso posto
Ho messo calce sui muri d’Europa
Ho riparato i tubi
Degli acquedotti dei secoli
Ho marciato sotto Ataturk, Berija, Assurbanipal
Belli e duri come i sassi, o Deus
Non puliti e non sudici

Ma tostati dal legno e dalla luna
Chiunque Tu sia, Adonai
Ovunque Tu ti sia perso
Le rotte degli esuli
Sono impregnate del Tuo nome
Lungo le strade che non portano a niente
E’ pieno del Tuo nome
Del Tuo nome che non esiste
Del Tuo nome che non risponde

Il canto della terra

Io più ci penso e più sono incantato:
mi rendo conto che in musica ho sentito,
a volte, gli strumenti di un’orchestra
imitare qualcosa di un cavallo
che beve alla sua greppia,
un volo di canarino, un cancellino,
una gabbietta d’uccello che si chiude,
l’annaffiatoio dimenticato aperto,
versi d’upupa, cucù, schiocchi di merli
e un saltellare di lucci sullo scorrere
gaio d’un rivo.
Ho visto questa scena, con i suoi voli e salti,
nell’Adagio di un Concerto di Bartók:
non era lieta, ma l’uomo non c’era.
Anche Hokusai nelle incisioni sue
sembra mirare le forme ed i colori, e domandarsi
come saranno quando noi non ci saremo.
Vedete, ogni arte si ritaglia un posto
per conversare con ciò che noi non siamo,
il non umano, o il divino se volete.
E allora penso che forse non dobbiamo
tanto ascoltare ciò che dentro
ci fa la rissa in cuore,
quanto la canzone dell’insensato
mondo ch’è fuor di noi, dove tutto è per caso
e tutto continua ad essere se un incantesimo
o la stupidità ci fanno sparire.

Forse dobbiamo tenere più aperta
la porta che si tende su quest’abisso ignoto
e tralasciare l’abisso più docile
che ascoltiamo da secoli, dentro di noi.

Chagall

Una luna azzurrissima riposa.
Tutta la città tace: è notte. Quand’ecco dalle case
vedi uscire un rabbino
con i libri della Legge fra le mani,
un giocoliere, uno col violino
che volteggia suonando sopra i tetti.
Vanno fluttuando nell’aria come uccelli,
come bambini che giocano nel mare.
Le candele si accendono su Vitebsk
e la banda accompagna il funerale

-il funerale della tua compagna
che ancora giovane un giorno ti lasciò.
Vola davvero sopra i tetti rossi
insieme agli angeli ai violini e alle trombe
con la sua veste da sposa,
madre dolcissima in oro di Bisanzio…

DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA

Mario Famularo su Laboratori poesia.

https://www.laboratoripoesia.it/i-miei-occhi-gia-coperti-di-fiori-giorgio-galli/

“Nei versi di Giorgio Galli si avverte un particolare struggimento, leggero ma pungente, privo di pietismi spettacolari o eccessi scenici; è quello della riscoperta di un sentire innocente dopo aver perduto ogni speranza, ogni prospettiva e desiderio; è la possibilità di accogliere in modo “pulito” l’esperienza e l’altro dopo avere esperito uno svuotamento di senso e di sentimento assoluti, senza per questo volerlo “guastare”, apprezzandone davvero il valore al punto da saperne fare a meno.”

Marco Ercolani, prefazione a Le morti felici (Il Canneto, 2018)
http://poesia.blog.rainews.it/2018/07/giorgio-galli-le-morti-felici/


“I temi di Giorgio Galli, simili a quelli già trattati nei racconti de La parte muta del canto (I Libri dell’Arca, Joker, 2016), ruotano attorno al mondo della musica e della poesia, e testimoniano l’ossessione prediletta dell’autore: suggerire nuove interpretazioni per vite ormai consegnate alla storia o all’oblìo. Il libro si appoggia costantemente a vite che furono: torna a dire di esse, dentro, non contro di esse. C’è, in questa scrittura limpida, rigorosa e turbata, un tornare sulle tracce dei morti per mettersi in ascolto del passato e correggere certe verità convenzionali grazie a intuizioni nuove. Si crea così una speciale “enciclopedia dei morti”, per citare Danilo Kis, dove i morti sembrano molto più vivi e radiosi dei nostri contemporanei e continuamente ci chiamano, ci parlano, ci raccontano la loro verità. Il libro configura un atlante poetico di artisti colti in un momento preciso: quello in cui la morte non è tanto la temuta catastrofe che distrugge la pienezza della vita quanto l’esito felice e necessario di quella specifica esistenza. […] Libro per scrittori, “inutile e indispensabile”, Le morti felici è simultaneamente un manuale contro il dolore e un malinconico testamento.”

GIORGIO GALLI E I POETI “INFLUENCERS”

Credo di aver scritto poesia soprattutto quando ero più ignorante di poesia. Averne una maggiore conoscenza, col tempo, mi ha allontanato dal cuore di questo mistero. Difficile dire chi mi avesse influenzato allora: tutto quello che leggiamo ci influenza. Credo di essere stato influenzato dai lirici greci e da Kavafis, da Pavese e da Hikmet, ma anche da quei canti popolari ottocenteschi raccolti da Arnim e Brentano nel Corno meraviglioso del fanciullo e che a volte sono stati volti in musica diventando Lieder di Gustav Mahler…

In dono a Giorgio e ai lettori di larosainpiù, una poesia di Cesare Pavese tratta da La terra e la morte, 29 ottobre 1945

Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.

Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato in Scienze della Comunicazione a Siena. Vive a Roma dove ha esercitato la professione di libraio. Scrive note di lettura, racconti brevi, prose poetiche e “prose” non altrimenti definibili. Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016) , Le morti felici (Il Canneto, 2018), Le voci sopravvissute (Gattomerlino/Superstripes, 2020) e la raccolta poetica Canzonacce (Edizioni Delta Tre, 2021); è fra gli autori del Repertorio dei matti della città di Roma a cura di Paolo Nori (Marcos y Marcos, 2015) e dell’antologia critica Perturbamento a cura di Marco Ercolani (Joker, 2016). Nel 2011 ha aperto il blog La lanterna del pescatore. Scrive sui blog Perìgeion e Poetarum Silva e sulla rivista Niedern Gasse.

ph di Chiara Romanini