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A chi pensa che io non sia di oggi,
io dico che il mio stare ad ascoltarlo è oggi.
Non è ieri, non sarà domani la mia attenzione,
bensí oggi. Oggi sono e sto qui davanti al foglio di carta,
sente forte il graffio di ogni mia parola.
Che da esse parte l’intimità quotidiana del mio corpo,
il suo nudo guardarmi è aderenza indubitabile alla realtà.
Da lui soltanto la mia vista, da lui il mio udito,
nelle sue mani l’umido nero degli orti in questo luogo
e sotto i piedi il fruscio verde e nel dicembre
il freddo a mostrare chiare le stelle.

Dunque, so di non errare. Non mi perdo,
finché posso tenermi forte a questo.

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delle parole e del loro gioco

Unità non è il verso ma la parola,
condizione di ciò che è accordo
e come tale, compie il suono e la grafia,
così che dall’informe pensare vengono incontro a volte
espressioni acute da sentirle perfino odorare
e senti esalare dentro alla stanza il grigio muffoso
del rimanere inutile. Sterile trovarsi e le mani al sonno,
l’aroma di vite bevuta e i compagni,
ognuno a dissetare solitudini tacite.
Confessioni del nulla parlare e il niente,
e ancora di spazi serrati, gli introversi pensieri
ed è ancora più forte l’odore imbrogliato, confuso
ardire e l’innocua codardia del dire.

Trovare dunque il dire giuste parole, parole per dire
tra i versi, unità unica in essi è arrivare
a sentirne gli odori. Appunto.

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dell’infeconda voce

Voglio così come il sorbo tra i larici e gli abeti
coprirmi di infinita neve. Di bianche coltri
l’abbraccio, chiusa irreparabile del freddo ragionare.
Spalancare le labbra e lasciarmi nevicare
lì in fondo alla bocca, infelice incontrarmi
e sciogliersi fiocco dopo fiocco fino a congelare
ed infine raccogliersi, riempirmi.

Mi voglio velare, voglio piano tacere. Sottrarmi
candidamente al complicato uso della voce.
Crescere, innevarsi il mio interno stare come fuori
               sto ferma.
Voglio immacolarmi. Per sempre zittire,
interrompermi e tacere. Seppellirmi dentro
e intorpidire per sempre la facoltà del solo parlare.

*

Ho compreso, colmato di carezze il silenzio,
ho trasportato il suo acume dalla tua carità alle mie
              orecchie,
per non ricusare, oppormi alla tua quiete.
Mi hai portata nella tua mancanza di suono,
nel non dire, tra le pause della tua voce
e mi hai accompagnata fino all’assenza totale dei rumori.
Ho capito l’astensione del parlare,
la muta esistenza del corpo.
Mi hai dato in mano il suo accordo all’abbandono
delle richieste, dei tuoi desideri.
Mi hai consegnato tutto nella tua privazione
e senza rimpianto e senza nostalgia da un giorno all’altro
non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non
               hai capito.
E da lì, dal tuo tempo distante, coerente luogo il tuo,
non hai cambiato silenzio, non lo hai più tradito.

*

Che mi sia consentito dire: le beatitudini della malattia,
poiché nella mente hai raggiunto la condizione perfetta
dei ricordi che non hanno più occhi e non si guardano
               indietro.
Davanti a me ci sei tu, il tavolo di sempre e la sedia.
E il giorno che guardi fuori dalla finestra.
È configurazione proporzionata la vostra,
di una distanza ormai sicura.

*

Roberta Dapunt, Le beatitudini della malattia, Einaudi, 2013

Roberta Dapunt è nata nel 1970 in Val Badia, dove vive. Per Einaudi ha pubblicato le raccolte di poesia La terra più del paradiso (2008), Le beatitudini della malattia (2013), Sincope (2018) e Il verbo di fronte (2024). Tra gli altri suoi libri, Nauz. Gedichte und Bilder, raccolta di poesie in ladino con la traduzione in tedesco curata da Alma Vallazza (Folio Verlag, 2012, ripubblicata con la traduzione in italiano dell’autrice da Il Ponte del Sale nel 2017). Nel 2015 è stata presentata la prima esecuzione di Nauz, composizione scritta da Eduard Demetz. Nel 2016 è uscito il film Nauz di Jochen Unterhofer e Florian Geiser, Ammirafilm. 

Foto dal sito Mnemoteca Basso Sarca