ELISA AUDINO DELLA POESIA DICE
La poesia è camminare su un vetro ghiacciato, percepirne lo scricchiolio della crepa, è avvertire la nota dissonante, la fragilità, l’elemento umano o disumano nel quotidiano. Può essere denuncia, introspezione, discesa, ma è il modo in cui comunica a interessarmi, quello scricchiolio a cui non segue una rottura totale. L’attenzione dell’orecchio. Quella nota attesa, ma improvvisa, che ti fa dire ‘Ecco’, come nel jazz. Ci sono stati periodi, certo, in cui ho dato una connotazione più precisa alla poesia, cosa deve fare, cosa non deve fare – la retorica dei dejà vu, le parole abusate, le rime che hanno smesso di appartenerci – come deve essere scritta e non essere scritta, e continuo ad avere un’attenzione privilegiata a quel che è contemporaneo, all’inciampo di alcune consonanti e allo slancio delle ripetizioni, quasi una sorta di preghiera umana, ma una buona poesia lo è e basta, anche quando fa tutto quel che non dovrebbe fare, anche quando è diversa da quel che preferisco leggere.
LA SUA POESIA CI DICE
Buona fortuna, amici da ‘Io qui ci vivo’, ed. Gattomerlino 2021
Io non so piangere
E piango per cose
Di cui non piangono gli altri.
Non ho pianto quando sei partito
E ci siamo scritti per giorni
Da strade e continenti diversi.
Io guidavo,
Tu cambiavi aeroporti.
Non ho pianto quando sapevo
Che non saresti scappata
E quando il telefono
Ha suonato, la notte.
Non ho risposto.
Non ho pianto quando
Mi hanno mandato le tue foto,
A terra,
Per farmi vedere
Che ti avevano fatto.
Non ho pianto al tuo funerale,
In Italia.
Non ho pianto quando sei nato:
Ho riso
Senza riuscire a smettere.
Non ho pianto dopo la diagnosi.
Sono venuta da te
E ho detto:
Un attimo.
In bagno,
Una donna mi ha abbracciata.
Non ho pianto durante quelle tredici
Interminabili ore
E quando mi confidavi
Chi avresti voluto essere,
Da grande.
Mi hai chiesto
Sei triste?
E io
No,
Stai dicendo delle cose
Molto belle.
Non ho pianto
Quando ti sei bloccato.
Mi sono seduta,
Ho aspettato
E ho detto a tutti
State calmi.
Non ho pianto
Quando mi hanno urlato
Che non dovevo scriverlo,
Quello.
Che non si doveva sapere.
Ho risposto senza urlare
E ho voltato le spalle.
Per non vomitare.
Non ho pianto
Quando lo hai fatto tu.
Non ho pianto
In psichiatria
Quando camminavi per ore
Sulla stessa piastrella
E tremavi.
Ma mi commuovo
A volte
Per un titolo,
Sul giornale.
Per una storia.
Per una cattedrale che cade.
Per una frase
Al momento sbagliato.
Stavo per piangere
Oggi,
A colazione.
Perché ho detto no
Alla mia utopia,
Quando avrei voluto dire
Sì.
Ma abbandono sempre
La nave
Quando sta per vincere.
Appartengo a chi
È abituato a perdere.
Solido liquido gassoso da ‘Io qui ci vivo’, ed. Gattomerlino 2021
Sono una donna in evidente
stato d’abbandono,
la cura del corpo prevede attenzioni
che non sempre desidero manifestare
[vestire la forma → depilare il piacere →
tingere gli anni → fare esercizio → stendersi
sul banco del mercato]
DICONO DI LEI E DELLA SUA POESIA
Marco Palladini, L’Age d’Or, marzo 2021. La sua poesia ha una sostanza diretta e concreta che consapevolmente rimanda a certa poesia americana, i Beat, Carl Sandburg, Bukowski, forse anche Anne Sexton; ma poi soprattutto lascia trasparire un ethos di solida piemontesità, un ethos fra tradizione e modernità, che inevitabilmente fa pensare a Cesare Pavese – curatore, sappiamo, della celebre antologia Americana – anche per la capacità di connettere il locale e il globale.
Rosa Riggio, su Niederngasse, maggio 2021. Mandante è l’assenza, destinatario le parole. Ma queste parole sono, dal momento dell’incontro, accolte come sconosciute, come se la poesia fosse anche, e soprattutto, uno strano personaggio incontrato per caso, da cui, forse, non si attende risposta, solo vicinanza. Nella variabile poesia, variabile necessaria, che sorprende e respinge, mandante è la distanza, lo spaesamento. Allora le parole si spostano, vanno “di lato”, a significare uno stato di differente silenzio, altre epifanie.
Giorgio Galli, su Lanternagalli, ottobre 2021. La poesia di Elisa Audino è un gesto di sfida. È dura, sfrontata, diretta. È sempre dalla parte dei vinti. Il riferimento al blues è importante. Il blues è l’espressione dei vinti, è espressione di un dolore senza possibilità di riscatto. Dappertutto pesano l’assenza e la solitudine, ma dappertutto la voce dell’autrice è roca, ironica, combattiva. Non ha la rassegnazione delle voci dei blues.
ELISA AUDINO E I POETI “INFLUENCERS”
A conti fatti credo che sia stata più la prosa a influenzare la mia poesia e, viceversa, la poesia a influenzare la mia prosa, nel senso che finisco sempre per mischiare le carte e i generi (oltre ai suoni, i rumori, le merci). In poesia ho uno stile prosastico, quasi industriale a volte, nell’uso di cesure, parentesi, elenchi; in prosa ho una voce lirica, non c’è una separazione netta. La narrativa ebraica, di cui sono stata avida lettrice, con la sua lucida cascata di parole, la razionalità, il gusto della parola, ha lasciato qualcosa nel mio modo di scrivere e, allo stesso modo, negli ultimi anni ho finito per chiudere un cerchio con quello Spoon River di Lee Masters e quella Piccola America Negra di Langston Hughes (un romanzo, il secondo) da cui ero partita attorno ai dodici anni per tornare in Europa e finendo lì ancora, per caso, passando per Carver – il Carver poeta – e da lui ai Beat, al blues, al jazz, alla poesia nera americana e, quindi, a Sandburg – come non legarlo a Lee Masters? – e a Langston Hughes, poeta questa volta. Due poesie su tutte tornano di frequente nella mia mente: ‘I too am America’, di Hughes, e ‘Quello che lui pensò’, di Heather McHugh. Dall’America tornare in Africa è salto un salto obbligato e in questo momento i suoni di cui più risento sono quelli della poesia africana occidentale, di Lola Shoneyin e Dami Ajayi, di cui ho tradotto alcune poesie per L’Estroverso; per qualche strana ragione mi pare di esserci entrata dentro.
In dono a Elisa e ai lettori di larosainpiù, di Lola Shoneyin, dalla sezione Clitoraguish tratta da So All The Time I Was Sitting On An Egg (Quindi per tutto il tempo sono stata seduta sulle uova), nella traduzione di Elisa Audino:
In Eno’s days
Eno said in her days
men were sweet and sensitive.
Eno said before I was born,
men were kind and considerate.
Eno said I should look around me,
than men were still the same.
I spat in her divorced face
and threw the dead woman
right out of my house.
Ai tempi di Eno
Eno diceva ai suoi tempi,
gli uomini erano dolci e sensibili.
Eno diceva prima che nascessi,
gli uomini erano gentili e rispettosi.
Eno diceva dovrei guardarmi attorno,
perché gli uomini sono ancora gli stessi.
Ho sputato dritto nel suo occhio divorziato
e scaraventato quella donna morta
fuori da casa mia.
https://www.lestroverso.it/la-poesia-di-lola-shoneyin-da-leggere-e-far-girare-tra-le-labbra/amp/
Elisa Audino, classe 1977, cuneese, ha un lavoro ordinario e una laurea in Comunicazione Interculturale. Ha attraversato femminismo, giornalismo locale, organizzato eventi politico-culturali in un paesino microscopico e fatto parte del Collettivo Poetico pinerolese. È apparsa nella rubrica di poesia di Maurizio Cucchi, nell’edizione milanese di Repubblica, e a febbraio 2021 è stata pubblicata la sua prima raccolta di poesie, Io qui ci vivo, con la casa editrice Gattomerlino, diretta da Piera Mattei. Collabora con la rivista culturale L’EstroVerso, diretta da Grazia Calanna e ha partecipato alla manifestazione Bologna in Lettere del 2021. A febbraio 2022 verrà pubblicato il suo primo romanzo.
Vive in montagna per scelta e fugge in città per necessità.