*

Non so se sarò in grado di progredire.
Molte sono le cose di cui dovrei occuparmi
e ho la mente troppo distratta dai rumori.

Rumori insopportabili.
Un masticamento, un gorgoglio,
un ronzio di rocchetti di filo e macchine a pedali.
Vaste e pesanti foglie d’affresco, viti e acanti,
cadono dal canniccio delle volte.
E poi il cupo sussulto dell’impiantito:
deve raccogliere e trattenere il rotolio delle cose accadute.

E sotto?
La cavità risonante è ancora mondo?
Si può raggiungere schiodando assi e trivellando sassi?

Ma che rumore sarebbe mai.
Chi potrebbe resistere a questa orrenda triturazione.

*

Avessi mai lasciato fare al caso
(che un po’ mi amava immeritatamente)
sarebbe andato tutto
in un altro
modo.

Non sarei qui
a contemplare gli escrementi di topo che ricamano la soffitta.
Non dovrei conversare con mio padre seduto sotto un travicello,
che si gratta la testa
e riflette
sopra un filo di eternità scivolato sugli embrici, non si sa – dice lui
– se da un gomitolo di luna o di lana.
E poi finito dove?
Nella gola di rame delle canale?
Nella lama omicida delle converse?

Eh
si sente scorrere qualcosa.
Srotolarsi.

Ascolto.
Resto in attesa delle calamità celesti.
La penetrante fissità di una stella mi entra nell’occhio destro.
Che potrei mai vedere?
Asteridi? Ippocampi con tanto d’ali e finimenti?
Angeli non ne vedo.
Non sento zampettare sulle falde del tetto.
Nemmeno si rincorrono quei fischi e quei lamenti
così caratteristici di loro.

Eh
forse il caso
mi avrebbe trascinato in Paradiso
per i capelli o per i piedi.
Ma io ho voluto sfidarlo,
il caso,
confidando soltanto nel superbo
sapere delle mani e nella vanità
degli strumenti di misura.

Ho costruito la mia vita senza lasciare spazio
alla più piccola incertezza.
Così tutto si è chiuso, tutto si è scongiurato,
tutto è finito per non essere.

Cioè per essere qui.
Costretto a resuscitare mio padre continuamente.
Per avere una spalla inconsistente
sulla quale appoggiare una mano che cade subito.

*

Sotto il suo travicello lui lavora.
Fabbrica ali di cartapece
con lunghe costole di canna
e scampoli di spago da calzolai.

Questa insanabile passione per le ali
nasconde il desiderio di vedermi svolazzare
nella parte più alta della soffitta.
Forse pensa di costruirmi intorno una voliera.
Ma può anche darsi che desideri vedermi sollevare

e poi
precipitare.

*

Ora però vorrei spiegarti
a cosa serve veramente il tempo.
Serve a dividere le stelle
l’una dall’altra.
Le tiene separate affinché ognuna
pensi di essere se stessa.

È un pensiero importante per una stella.
Le conferisce una dignità particolare
che si sparge e fermenta per tutto l’Universo.

Che cosa sia la dignità però mi sfugge.
Pare provenga dal grecanico άξίωμα.
Così i pastori amanteani chiamavano per nome
la bellezza inspiegabile delle candide capre d’Aspromonte.

Allora accontentiamoci di guardare le stelle e di pensare
che sono solo stelle.
E nulla testimoniano. Nulla dimostrano.

Eppure
qui
io e te
siamo rimasti i due unici testimoni del tempo.
C’è forse qualcun altro?
Vedi anime in giro?

        No.
        Solo il vento.

*

Non voglio dire che si finisca per odiare se stessi,
quando la musica ci abbandona e l’evidenza degli oggetti
resta l’unica sponda, dura. L’unico limite oltre il quale
bisogna tagliarsi la testa prima ancora della lingua.
E il tacere non è più nostro ma delle sfere celesti.
Ecco, qui, esisto pienamente.
Dove svolgo la mia funzione di segnalibro, e con fatica
(non del tutto umana) separo,
di volta in volta
e per sempre,
una pagina dall’altra.

*

Roberto Amato, Quartetto per la fine del tempo, Elliot, 2022

Roberto Amato è nato a Viareggio nel 1953 da padre calabrese e madre toscana. Scoperto da Manlio Cancogni e da Cesare Garboli, comincia a pubblicare su «Nuovi Argomenti» e «Paragone». Nel 2003 con Le cucine celesti (Diabasis) vince il Premio Viareggio per la poesia. Seguono le plaquette Gli sposi (Diabasis, 2004) e L’agenzia di viaggi (Diabasis, 2006). Con Elliot ha pubblicato Il disegnatore di alberi (2009), L’acqua alta (2011), Lo scrittore di saggi (2012), Le città separate (2015), Le attitudini terrestri (2018) e Quartetto per la fine del tempo (2022).

Foto di Michele Amato