A rattoppare i dolori erano
le donne del paese
con il sole dietro il cuore
e gli uomini fuori a pescare il pane.
Era il tempo dei Toscano che tutti
conoscevano come i Malavoglia.
***
Corteo a Matera
Pietre di Matera imbiancano giorni protetti
di pazienza.
Scorrono in fila esposti
riposti nei sassi
santi anacoreti
poeti sindaci e contadini
mia nonna e la schiera nera delle sue donne,
parenti intessute
con scialli parlanti di fatiche e nostalgia.
Sorridono a Scotellaro – lui non manca ai potenti! –
di riverente ammirazione.
Fremono di pane alto e di sudore.
***
Esercizi di etica
Verso sera mi esercito
a ricordare il succo della giornata,
cosa avrei potuto rispondere,
come avrei dovuto incrociare
nel momento opportuno il suo sguardo.
E con cattiveria colpire il mondo storto.
Quando l’esercizio smarrisce la logica
-l’etica, ante omnia –
mi posiziono davanti allo specchio grande, a figura intera,
allora so
quanto mi sia costata la corsa a ripetere
all’infinito
quel momento sgomitante di felicità
***
A luglio, la vanità della poesia
Lungo la strada del mare, di luglio,
i poeti guardano le case
con le persiane verdi e le porte rosse
i freni assordanti degli scooter
il sole calante sulle rovine di Pompei.
La fatica dei poeti non è nel sudore della fronte
è nel non essere creduti,
fanfaroni di vanità
solo educatori di lucertole
sospettose di tutto.
Quando nel borgo dipinto di blu
si intravvedono i primi bagliori
raccattano i cappelli di paglia
e si incamminano verso il tempo immobile
del non ancora creato.
***
Qui, al Sud.
Qui, respiri di pietre ferite
visi arsi di lavoratori della terra,
braccia di ulivi che devoti pregano il cielo.
Qui, la tenerezza ha il volto
dei vecchi con i bambini
a fianco nelle piazze deserte alla controra.
Il cielo si inginocchia
fino a lambire le piante dei capperi,
nascoste tra i rovi.
Qui, i silenzi sanno di gemiti,
di lacrime riverse sui tratturi,
di solchi rosso cupo di sangue,
di freddo intenso nelle ossa a quaranta gradi.
Qui, tuttavia,
dalle ferite germogliano sogni.
***
Poi c’è questo voler
con scientifica tenacia essere distanti
collocarsi ai bordi del dolore
vedersi riflessi e gettarsi
nell’erba dove – ti accorgi –
passeggia il vento e,
con esso, la vita.
Alessandra Corbetta, da prefazione a Di albe e di occasi, Macabor edizioni, 2021.
Nanni Balestrini, con il suo consueto dire provocatorio, sosteneva che la poesia non possa salvare più del giardinaggio o del balletto ma, attraverso la forma della parola, possa riscattare dal dolore dell’esistenza; Di albe e di occasi conserva, di questa precisa considerazione, tutta la potenza attribuita al riscatto, poiché Grazia Procino, nei versi che compongono la raccolta, si mostra consapevole dei limiti e dell’indomabilità del verbum e, al contempo, della sua forza sovversiva, realmente capace di modificare lo status quo delle cose. Qui, dunque, nella possibilità di un cambio-binario dell’esistenza, sempre attuabile grazie all’arte poetica, risiede il nucleo pulsante dell’opera. Procino, infatti, partendo da episodi di un tempo altro e riconducibili al suo passato, allarga lo sguardo al depauperamento della società contemporanea, sulla quale solo l’azione di un pensiero gentile reso verso può avere una qualche azione benefica. Sarebbe ovvio ravvisare, quindi, nella dimensione cronologica il tema-cardine di Di albe e di occasi, non solo per la ripetitività con la quale il sostantivo “tempo” ricorre all’interno della raccolta, ma soprattutto perché ogni componimento rimanda al ciclo degli eventi dei quali si compone la nostra vita: anche laddove quindi manchi una nominazione diretta della sfera temporale, è sempre udibile l’eco di altri termini e altre immagini che la richiamano; eppure “ovvio”, etimologicamente, è ciò che si incontra o che ci viene incontro ed è in questa accezione che l’ovvietà della presenza densa del tempo deve essere intesa, poiché Procino accoglie il lettore procedendo dalla sua parte, rendendo ineludibile l’incrocio, lo scambio: « A rattoppare i dolori erano / le donne del paese / con il sole dietro il cuore / e gli uomini fuori a pescare il pane. / Era il tempo dei Toscano che tutti / conoscevano come i Malavoglia.». Bisogna precisare che non c’è mai astrazione nello scrivere di Procino e, pertanto, ogni momento è anche oggetto, colore, luogo e persona, è episodio esistenziale: «Per la notte mi coprirò / di lenzuola bianche / e alla luna chiederò di cullarmi.»; oppure «Si aggiunge il sale sui capperi strappati ai terreni impervi / ai muretti a secco qui nel Sud»; e anche «Mi accovaccio come / nel grembo di una madre / che mi ebbe il 10 aprile.» […]
Grazia Procino, docente di Lettere presso il Liceo Classico di Gioia del Colle, ha pubblicato haiku in due raccolte collettive edite da Fusibilia; la raccolta poetica Soffi di nuvole (Scatole parlanti, 2017), Finalista Premio Nabokov e Premio Speciale al Premio nazionale “Poetika” a Verbania; e i racconti Storie di donne e di uomini (Quaderni edizioni, 2019). E sia (Giuliano Ladolfi Editore) è stata la sua seconda silloge poetica: medaglia d’onore al Premio Don Luigi di Diegro 2020, finalista al Premio “Città di Acqui Terme” e attestato di merito al premio “Lorenzo Montano”. Una sua poesia è stata selezionata per l’IPoet di gennaio 2019 dalla casa editrice Lietocolle; sue poesie sono apparse su riviste specializzate come «Poesia Ultracontemporanea», «Poesia del nostro tempo», «Poetarum silva» e «Poeti Oggi». Una sua intervista è stata pubblicata su «L’Estroverso», a cura di Grazia Calanna. Il poeta Maurizio Cucchi su «La Repubblica di Milano» e il poeta Vittorino Curci su «La Repubblica di Bari» hanno selezionato delle sue poesie per la rubrica “La bottega della poesia”. È tra i 12 poeti selezionati nell’antologia “Officina iPoet 2019” della casa editrice Lietocolle (Libriccini da collezione)